Totani a Torre

Se è vero che il caldo allontana i calamari dalla riva è anche vero che in sostituzione si avvicinano i totani. Naturalmente si fa per dire, visto che per la pesca dei totani bisogna prendere la barca e spingersi dove il fondo è sinonimo di abisso. Comunque di cefalopodi si tratta e nonostante le prestazioni gastronomiche di livello diverso, il totano risulta una preda divertentissima. Si tratta di un animale molto aggressivo che vive in prossimità del fondo, anche a –600 metri e oltre, ma che d’estate, risale a portata delle lenze e delle totanare. Quest’ultimo termine, non è da confondere, con le totanare utilizzate per il calamaro o la seppia. Si tratta, infatti, di un tubo piombato all’estremità libera, munito di uno o due cestelli con tante punte acuminate (simili ma di ben diverse proporzioni, a quelle utilizzate per la pesca al calamaro) e una o due sorgenti luminose, di solito intermittenti, e di colore anche differente. Il tubo dà supporto all’esca, di norma 2-3 o 4 sardine, ben legate col filo elastico, oppure l’elastico tradizionale. Ma l’inventiva del pescatore trova spazio anche a altre fantasiose soluzioni, ognuna giudicata insuperabile, dalla carne al lardo, per finire col piccolo di totano visto che si tratta di una specie cannibale. Questo attrezzo, veniva calato a mano con lenza da 100 mm o ancora più grossa, ma è una pratica in disuso perché abbastanza faticosa e di certo perdente di fronte all’impagabile mulinello elettrico.

Paride Pisano e Giuseppe Cansella col diavolo rosso.

Lo spot

Fatto il pieno in cambusa, nel serbatoio del carburante e nella stiva porta passeggeri, si parte per la destinazione. Di solito si preferiscono le cadute, come quelle di Torre delle Stelle, vicine per il cagliaritano, ma soprattutto perché con un minimo di scarroccio si sondano le diverse batimetriche, nella speranza, in mancanza di notizie certe, di trovare presto la quota dei totani. Quel giorno, a bordo del Seagame di Luca Pischedda, in una serata che a detta del meteorologo, il vento sarebbe calato alle 19:00, arriviamo in una posta collaudata, intorno ai 300 metri di fondo, tra le 20:00 e le 20:30, vi ho già detto dove, piuttosto infastiditi non tanto dal vento persistente, quanto dalle onde e quel minimo senso di nausea.

I preparativi

Dai borsoni spuntano queste grosse totanare, lampadine bianche, verdi, rosse e gialle, sardine e infine la chicca: un attrattore per totani. Si tratta di una sorta di grossa totanara senza i cestelli, solo più pesante, e ben illuminata. La ragione di questo attrattore è presto spiegata. Essendo tanti i 300 metri di fondo (figuratevi 400-500 o 600), che in risalita si possono tradurre anche in 10 minuti di tempo o più, sarebbe bello se si riuscisse a portare i totani a quote meno impegnative, così da rendere il recupero più divertente e frequente. Quindi, stabilita con precisione la quota operativa, alla prima cattura, si posiziona l’attrattore qualche metro (10-20) più in alto, nella speranza che i totani lo seguano, e così anche per le successive catture, fino a raggiungere una distanza ritenuta ottimale.

La pesca

Intanto il vento non cala e i totani non arrivano. Così qualcuno ricorda una battuta al tonno, altrettanto ventilata, finita con le totanare e qualche animale a pagliolo. Ma quanto è bello il gommone in queste situazioni! Passata la fase “se non mangiano loro mangiamo noi”, arriva il primo segnale. È Luca che ha il totano in canna. Purtroppo l’animale non vede la “luce” ma fugge via verso l’abisso, peccato. Veramente eravamo quasi disperati. Comunque con evidente stoicismo e totalmente indifferenti, verso chi la mattina successiva si sarebbe svegliato di buon ora, la guerra al totano prosegue.

E proprio mentre le speranze, già poche in partenza, sembravano da tutti abbandonate, Paride rompe il silenzio: totano in canna. Vista la passata esperienza quel recupero sembrava la risalita dell’ultimo mollusco di tutto il Mediterraneo. Ma, siccome la classe non è acqua e tutti stringevamo forte i propri gioielli, senza neanche apparire, a circa un metro dalla superficie, il Todarodes sagittatus ci fa un regalo: ci “ammolla” un soffione che sembrava la fontana di Gedda. Per noi era una bottiglia, di quelle buone, stappata per l’occasione. Giuseppe (c’era anche lui, anzi era l’organizzatore), al guadino, mette il risultato al sicuro.  Paride, non so se l’avete mai visto sorridere, caccia fuori i trentasei denti che sembravano di più e naturalmente veste compiaciuto i panni di salvatore, quello che ha raddrizzato una breve serata impegnativa, diventando il personaggio del momento.

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