Copertina

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Fabio Fois con la cernia bruna catturata nel mare della Costa verde in Sardegna

Per evitare che l’argomento cada pericolosamente nell’oblio ritorniamo, a distanza di parecchio tempo, su una questione irrisolta e non più dibattuta, almeno nei canali di maggior rilievo e nei tavoli che contano. Il tema riguarda la normativa che impone al pescatore sportivo un limite al pescato giornaliero, senza distinzione alcuna. Ad oggi, infatti, tale limite è fissato in 5 chili, indistintamente. Ciò significa che il pescato del pensionato seduto a filo banchina con la lenza a mano e un trimoliggione in acqua, vale quanto quello del pescatore subacqueo e quello del pescatore a traina. Ed è comune, per tutte le discipline, sia in mare sia nelle acque interne. Se il sistema è andato avanti, pur con sporadici ripensamenti, oggi si scontra decisamente con la realtà. È necessario cambiare il paradigma, superare il tetto universale oggi in vigore, quale garante della sostenibilità e soddisfare le varie esigenze con una nuova visione, puntuale, della pesca sportiva e ricreativa. Non è più ammissibile un limite di cinque chili per chi pratica la traina, sia costiera che d’altura, oppure il bolentino di profondità. Occorre considerare tutti gli aspetti biologici finora trascurati (periodi e quantità per specie), quelli sociali, e economici mai valutati in alcun modo. Chi pratica la pesca dalla barca ha speso un capitale per attrezzarsi e una montagna di soldi li destina ogni anno per la gestione del mezzo. Non si può continuare a imporgli un paletto irrispettoso, del suo sforzo e di cui, oltretutto, ne beneficiano tutti. E infine, last but not least, bisogna fare questo benedetto salto di qualità. Occorre raggiungere la pari dignità con l’interlocutore che muove i fili e che invece, spesso, tende a sminuire la nostra identità e quindi l’esistenza. Non sarà facile, ma siamo più di due milioni. Con questi numeri…