Salvatore Roccaforte

Un autodidatta dal carattere forte, forse un personaggio di altri tempi, giunto ai massimi livelli agonistici con le sue sole forze.

Nel corso di questa lunga carrellata che ci vede “indagare” nel mondo della pesca in apnea in Sardegna, è capitato altre volte che la vista di un subacqueo che atterra col suo pingue carniere, sia stata lo spunto per convertire un pescatore, più o meno in erba, ancora in cerca di un’identità, in un convinto appassionato pescasub. Così, ci racconta, anche Salvatore Roccaforte, sorpreso, in giovane età e dedito alla canna da riva, per l’immagine di “quegli oscuri e inquietanti figuri vestiti di nero” (cit. Folco Quilici), accompagnati da un carniere di gran lunga superiore, alle sue pur immodeste aspettative con la canna in mano. E quando uno di questi gli disse: “io i pesci li vedo, tu no!”, scattò la molla. Aveva più o meno 7 anni, allora. Scappava da scuola per andare a pescare con la bolognese. Poi, già possessore del Saetta a molla, ricevette in dono dal padre una muta subacquea.
Cosa successe? Mi si apri un mondo. Sparavo cefali in poca acqua. Un giorno però mi spinsi un po’ più in là e vidi una ricciola enorme, più grossa di me. Sparai, da incosciente, ma forse per la troppa distanza, l’asta rimbalzò e il pescione, che mai sarei riuscito a catturare, andò per la sua strada.
Le tue zone di pesca? Mio babbo mi accompagnava poco fuori Palermo, verso occidente, a Acqua dei Corsari. Così fino a 16-17 anni.
Quindi? Quindi leggendo le riviste e seguendo i più seguiti personaggi del momento, leggi Dapiran, Del Bene, Molteni e altri ancora, decisi di trasferirmi in Sardegna per dedicarmi a una pesca più profonda che mi era preclusa a Palermo.
Una bella esperienza? Ero giovanissimo, avevo 18 anni e campavo facendo il cameriere a Baia Sardinia. Uscivo in mare tutti i giorni, a Capo Figari, la mia palestra.


Un’avventura? Se la vogliamo chiamare così… A Capo Figari in una delle prime uscite sparai una cernia di circa 20 chili. La bestia riuscì a scappare strappandomi il fucile dalle mani, naturalmente mai recuperato.
Eri già un profondista? Beh, ero molto allenato, facevo 7 ore di nuoto ogni volta che andavo a pesca e a vent’anni scendevo già a 32 metri. Mi ricordo il buon Dapiran incazzato perché, diceva, che nella secca dei Monaci non c’erano più pesci per colpa mia.

“Il mio dotto era coperto da una cernia che ci stava proprio sopra. Quindi con l’asta spostai la cernia, sotto lo sguardo di numerosi curiosi e fotografi, sparai nuovamente il dotto e lo portai finalmente a galla. Pesava 3 chili e sette.”.

L'isola dei Cappuccini di cui Salvatore era custode.

L’agonismo? Le gare sono venute un po’ dopo. Intanto avevo cambiato mestiere, facevo il custode all’isola dei Cappuccini. Comunque mi tesserai nel 2008 col Corallo sub, a Alghero, con l’allora presidente Alberto Sechi. Lo stesso anno partecipai alle prove selettive per l’ammissione al campionato italiano di seconda categoria, ma non ero concentrato e ripetei l’esperienza l’anno successivo con più determinazione. Arrivai secondo, ma a Casalabate, in Puglia, per gli italiani, mi andò male. Quindi, di nuovo le selettive nel 2010. Questa volta andò meglio e fui anche campione sardo. Disputai di nuovo il campionato italiano e arrivai sesto con l’accesso alla prima categoria. Il campionato seguente si disputò a Bosa. Ero molto emozionato, sempre spalla a spalla con l’indimenticato Bruno De Silvestri. Vinse Antonio Lovicario e io agguantai la decima posizione che mi confermò in prima categoria. Da qui la strada si fece in discesa finché nel 2016 disputai il Campionato del mondo a Siros, in Grecia. Purtroppo non fu un successo pieno. Per una serie di ragioni preparai i fucili solo il giorno prima, così, in apertura, alla prima manche, sbagliai sette spari. Riparai il giorno seguente con un bel secondo di giornata, primo fra gli italiani, guadagnai 28 posizioni nella classifica generale. In conclusione mi classificai in undicesima posizione, e guadagnai l’argento per squadre.

Un dentice incredibilmente scuro, a tratti nero, di sette chili, sparato nella secca delle bisce nel 2019.

L’ultima gara? A giugno di quest’anno, a Trapani, per il Campionato italiano assoluto. Tra l’altro mi è successa una cosa curiosa. Sulla secca di San Vito Lo Capo, trovai una spacca a 51 metri con cernie, dotti e corvine: un acquario. Sparai prima una corvina e poi al tuffo successivo, fulminai un dotto. Quindi risalii in superficie, ma del dotto nessun segno. Mi immersi di nuovo e lo trovai tra le fauci di un grongo. Sparai il serpentone che poi pesò 7 chili, ma del dotto, dopo l’ennesima risalita, nessuna traccia. Ci volle un altro tuffo, sempre nella stessa spacca. Il mio dotto era coperto da una cernia che ci stava proprio sopra. Quindi con l’asta spostai la cernia, sotto lo sguardo di numerosi curiosi e fotografi, sparai nuovamente il dotto e lo portai finalmente a galla. Pesava 3 chili e sette.
La preda più grossa? Il mio record è del 2014. Il primo tuffo della prima giornata di un Campionato italiano a Porto Corallo. Sparai una ricciola di 44 chili e duecento grammi a 37 metri. Per la cronaca vinse De Silvestri. Ma ne presi un’altra ancora più grossa, nel 2020, non in gara. Era fine luglio. Scarrellammo a Porto Pozzo, con mio figlio Francesco e il fidanzato di allora di mia figlia. Una giornata splendida, con cie-lo appena velato e acqua cristallina, senza vento. Ero sulla Secca fantasma, tra Corsica e Sardegna, in acque francesi. Al primo tuffo sparai un dentice di sei chili. Al tuffo successivo mi arrivò una ricciola, enorme, sulla destra. Sparai e la fulminai. E non fu l’ultima. Infatti ne seguì un’altra di 28 chili. In Corsica non ci sono limiti di pescato se non le 8 prede. Quanto pesava? 48 chili.
Qualcosa di sgradevole? Sì, il materiale bellico sui fondali di Quirra. Uno scenario che mi ha lasciato di stucco. Corsi di apnea? No. Nessuno. Sono completamente autodidatta. D’inverno mi alleno di corsa su percorsi in collina, seguendo i miei schemi per arrivare a giugno in piena forma. Vado giù fino a 60 metri.
Dove vai a pesca? Mi immergo principalmente fuori dalla secca dei Monaci, verso sud, dove, negli anni, ho scoperto delle pietre isolate che sono una favola. Ma qualche volta esco a Castelsardo, oppure a Orosei. In quest’ultimo caso scarrello alla Caletta e navigo verso sud per circa 20 miglia, verso capo Comino e il porticciolo di Orosei. Il fondo è sabbioso con aree di grotto alto, granito e tufaceo, abbastanza strano e certamente non uniforme. Sulla fascia dei 45-50 metri ci sono tantissime cernie brune, qualche bianca, corvine, grossi saraghi e qualche raro dentice.
Peschi tanto? Sì ma andare in mare per me è la liberazione dello spirito, il pesce è solo una conseguenza.