Orate&Minitravi

Orate&Minitravi

L'inverno, per la verità mite, ha lasciato oramai spazio alla stagione calda. Maggio è stato il mese delle ultime mareggiate, con piogge frequenti. Per la verità si è trattato di “mareggiate lampo”, differenti da quelle invernali e più difficili da interpretare. Lo sappiamo, la nostalgia dei grandi pesci venuti dal freddo si farà sentire, e nel carniere, ahimè, non ci sono più le spigole! Si mira ai grufolatori, a qualche bella orata e ai classici predatori estivi, i serra. Se col freddo imperava la spigola, è ormai tempo della regina del caldo: l’orata.

Regina d’estate
Sparide dal fascino unico, dalla livrea stupenda con colori e riflessi particolari, l’orata (Sparus aurata) prende il suo nome dalla fascia dorata che riporta sulla testa, ben evidente nella zona tra gli occhi. In giovane età vive e si sposta in grossi branchi. Il comportamento gregario, con la crescita, diventa sempre meno frequente. Nor- malmente, tranne che nei periodi riproduttivi, le grosse orate sono pesci solitari. Nelle nostre coste è presente un po’ ovunque e su ogni tipo di fondale: porti, frangiflutti artificiali, foci dei fiumi, sabbia, misto sabbia, posidonia, grotto; insomma è molto comune in tutto l’immediato sotto costa. Ci concentreremo sulla pesca dalla spiaggia, visto che la cattura di una grossa orata è un obiettivo che ogni “surfista” deve raggiungere prima o poi. È un pesce combattivo che mostra una formidabile resistenza sino all’ultimo; non puoi dire di averla catturata finché non la trascini al sicuro. È smaliziata, furba e sospettosa. Una volta “in canna” si difende con le proverbiali “testate”, possenti e spesso molto efficaci. Uno dei rischi maggiori riguarda la rottura o piega dell'amo in fase di mangiata. L’o-rata ha, all’interno della bocca, alcune grosse placche ossee che le permettono di spaccare cozze, bocconi e ricci, figuriamoci il filo sottile dei nostri ami. Credo sia chiaro a questo punto che non si tratta assolutamente di una pesca facile. Non di rado si torna a casa con un tragico cappotto.

Non ferrare subito
Nonostante sia una pesca che si pratica con ottimi risultati in pieno giorno e a mare calmo, è proprio in queste condizioni che si hanno le difficoltà maggiori. L’acqua limpida e ferma non aiuta a celare l’inganno dell’esca. Se poi scegliamo una spiaggia a bassissimo digrado, dovremo prepararci a lanci al limite delle nostre capacità. Lo studio del settore di pesca è fondamentale ma ancor più importante è la presentazione dell'esca, con braccioli lunghissimi e per quanto possibile, sottili. La mangiata potrà essere di mille tipi: a volte è evidente, con segnali ben distinti; ma spesso accade che l’orata assaggi l’esca per poi “sedersi” con questa in bocca. I pescatori più esperti sanno che le orate hanno bisogno del loro tempo e aspettano prima della ferrata. Vi posso assicurare che non è semplice rimanere freddi e aspettare, dopo ore di totale inattività. La prima fase del recupero si effettua con la canna alta, in modo da sfiancare il pesce. La frizione deve essere ben tarata e mai troppo chiusa. Poi arriva la fase più difficile; il pesce potrà apparire stanco, ma con l'avvicinarsi allo scalino, riprenderà vigore con fughe laterali e testate da paura. Canna bassa, parallela alla riva, per tutta la fase finale del recupero.

Spazio al mini trave
Sull’attrezzatura si potrebbe aprire un gran bel dibattito! Ognuno ha la sua teoria e i suoi segreti. Ciò che conta alla fine è la semplicità. Non esiste un profilo unico di canna: c’è chi usa le canne da beach, armate con fili sottili; ma se si desidera fare distanza, meglio attrezzi potenti da mare mosso. Volendo dare un’idea di massima, va bene una canna con casting tra i 100 e 150 grammi. Come paratura, in estate i puristi della semplicità usano il piombo scorrevole, con braccioli da una metrata o poco più. I più esigenti si serviranno di travi lunghissimi incollati, oppure di clip per i lanci estremi. In questi ultimi anni ha preso piede una paratura che ben si adatta a questa pesca: il mini trave. È composta da un filo di acciaio spesso e rigido, lungo dai 5 ai 15 cm. Ad una estremità si fissa la lenza madre, nell’altra la zavorra. L’unico bracciolo si lega sul classico snodo perlina girella perlina, dando così rigidità e nello stesso tempo uno scarico delle torsioni sul filo davvero funzionale. Per il resto, attenti all’amo! Quest'ultimo dovrà esser scelto in base all'esca, ma non dovrà mai essere sottodimensionato. Il mercato offre tantissimo, da ami in carbonio leggerissimi al caro vecchio acciaio. Scegliamo un modello tipo beak, dal filo grosso e robusto. I terminali non saranno mai inferiori allo 0,25, rigorosamente fluorocarbon, mimetico e rigido.

“Con l’orata non si scherza! L’amo deve essere robusto e ben appuntito, perché la regina sa piegare il metallo con la forza di una morsa.”.

Esche indigene?
Posto che vai esca che trovi? L'ideale sarebbe mettere in pratica questa soluzione. Ma i pesci, nelle lunghe spiagge, sono di passaggio, quindi sicuramente abituati a riconoscere qualsiasi esca. I puristi del surf usano solo esche naturali, quali seppie, piccoli cefalopodi e bocconi in prossimità di scogliere. Ma ci sono esche altrettanto valide e ormai commerciali, come cannolicchi e bibi o americani che comunque faranno impazzire le orate.

Prova sul campo
È pomeriggio, finalmente col mio amico Leonardo Lallai siamo in viaggio. Arriviamo in spiaggia e ci posizioniamo davanti ad un bel canalone. Non ci facciamo mancare proprio nulla: parete rocciosa al fianco e qualche banco di alghe che non disturba affatto! Anzi, si dice “alga porta pesce”. Montiamo subito tre canne a testa. Io due in assetto pesante (due pezzi e rotanti…) e una con fisso per cercare nell'immediato qualche pesce per fare il vivo. Il mare non troppo formato mi permette di scendere un pelino di diametro e di utilizzare 2 minitravi sulle canne pesanti, innescate con seppia, tagliata a strisce, e cannolicchio. Prima dell'imbrunire noto la canna leggera spiombata, tutta di lato, e mi rendo conto che un'occhiata non può fare una roba simile. Ferro deciso e sento una forza costante che ad ogni giro di mulinello si trasforma in belle testate, seppure strane. Chiamo il mio amico per darmi una mano in vista del combattimento, consapevole del filo sottile e amo non adeguato nel terminale. Intravedo subito un pesce lungo e penso alla spigola. Paziente cerco di non forzare troppo. Ormai vicino, mi rendo conto che si tratta di un barracuda che ha attaccato un'occhiata allamata. Con una scodata in prossimità della battigia il pesce molla la presa. Che fare? Se girano predatori simili, la nottata potrà risultare compromessa. Opto per un cambio esca radicale; elimino il cannolicchio e innesco un grosso americano intero. Leonardo mi chiama; solleva una bella orata. Felicissimo mi complimento con lui. Manco il tempo di un panino e vedo subito la canna sinistra completamente in bando! Ecco ci siamo… corro e ferro deciso. Non ho dubbi, è lei, finalmente. Mi armo di pazienza e inizia il lento recupero. Testate su testate, wow! Sicuro sul mio apparato pescante, collaudato anche la settimana precedente con altre due bellissime catture all'alba, mi sento sereno. Ultimi metri, canna bassa, altri due giri e il pesce è fuori. È festa con foto di rito e birretta per completare il tutto. Ormai è notte fonda quando recupero l'ennesima occhiata nuovamente morsa. Rimaniamo in pesca sino all’alba, ma senza novità. È ora di colazione.