Davide Carrera...Novantanove, un Metro Prima

Davide Carrera è un fortissimo apneista e appassionato pescasub, capace di record mondiali ma anche di altrettanto importanti rinunce.
Ciao, Davide, raccontaci la tua straordinaria carriera?
Da bambino ho avuto la fortuna di passare le estati al mare, a casa dei nonni. Il mare mi ha attratto fin da piccolo. Umberto (Pelizzari n.d.r.) e Majol parlavano di un fattore Ulisse, di quella curiosità innata, trasferita geneticamente. Ecco, credo di avere avuto sempre forte questa curiosità, la voglia di vedere che cosa c’era dietro la collina, dietro l’angolo, o un metro più giù, e quindi questo mi ha portato ad avere voglia di scendere sempre un pochino di più; l’apnea come una forma di ricerca interiore, cercare cioè, dentro di sé, una via per andare più profondi. Questa è un po’ la mia storia. Se vogliamo parlare di tappe, di gare, di record, beh, a diciotto anni ho conosciuto Umberto e un paio di anni più tardi sono entrato a far parte della sua squadra d’assistenza; da lì le prime partecipazioni a gare e qualche anno dopo, in squadra con Umberto Pelizzari e Gaspare Battaglia, abbiamo vinto ai mondiali di Ibiza. Nello stesso 2001, Umberto aveva deciso di fare il suo ultimo record e gli avevo chiesto se potevo tentare un mio record. Quel anno lì, in immersione libera, tirandomi a braccia lungo il cavo, avevo fatto novantun metri, il record del mondo. E’ seguito un periodo a fasi alterne: mi ero allontanato dalle gare per potermi dedicare meglio alla ricerca interiore. Prima l’India, per approfondire lo Yoga, e quindi l’apnea, vista come ricerca interiore. In quegli anni, libero dall’assillo di cercare a tutti i costi la performance, sono tornato all’apnea come quando ero bambino, senza ansie, completamente libero. Poi mi sono riavvicinato alle gare; una in particolare, alle Bahamas, la ricordo con piacere. Ho fatto lì il record italiano, in assetto costante, con la monopinna e senza toccare il cavo: novantanove metri. Molti mi chiedono perché novantanove… per diverse ragioni: perché il record precedente apparteneva a Federico Mana, con novanta metri, e io pensavo di superarlo; e poi perché sapevo che avrebbe avuto piacere lui, un italiano, a portare il record a cento metri nell’assetto costante. Così, quando ci siamo incontrati, gli ho detto: “Guarda, non ti preoccupare, i cento te li lascio. Io faccio un po’ di meno”. Così, per la gara, ho avuto la fortuna di essere in uno stato di grazia, molto ben preparato fisicamente: ho raggiunto con una certa facilità i novantun metri, il primo giorno, poi i novantaquattro, i novantasei, i novantotto e i novantanove. Aumentavo ogni volta un pochino. In tanti mi hanno detto: “Dai! Fai cento, fai cento…” Cento è un muro fatidico per l’apnea: chi supera i cento viene considerato tra i migliori apneisti del mondo, però… io sono uno di quelli che quando dà la parola, a costo di rimetterci e di soffrirci, la mantengo. E poi, alla fine non mi dispiaceva quel numero, novantanove, pensavo potesse essere anche un messaggio positivo per i giovani, in un mondo, quello dell’apnea, che ho visto cambiare durante la mia carriera. Quando ero un ragazzino e quando ci siamo avvicinati alle prime gare è nata Apnea Academy. Era il ‘96, chi faceva apnea era gente che amava soprattutto il mare. Poi è diventata di moda e dal mare, spostandosi verso i grossi centri urbani, un po’ ha assorbito lo spirito cittadino, trasformandosi da poesia pura, in uno sport dove c’è la ricerca ossessiva della prestazione, dei numeri. La performance è sicuramente un momento di crescita, una cosa positiva perché ti porta a confrontarti con te stesso, a vincere le tue ansie, però non deve essere l’unico motivo, perché altrimenti da una cosa poetica si trasforma in pura matematica, perdendo quella bellezza che il mare ci regala. Novantanove per me poteva essere un messaggio: ci si può fermare anche un metro prima, uscire con un sorriso, quindi in sicurezza, senza dover dare sempre il massimo, essendo ugualmente soddisfatti. Questa è la mia storia di apneista.

Yoga ed immersione
Parla con calma, una calma che viene da dentro, senza interruzioni, si scusa con gentilezza perché non è stato molto conciso. Lo ringrazio per questo.
Sei un convinto sostenitore della disciplina Yoga. Nel tuo caso ha migliorato più l’uomo o l’atleta?
Mah, entrambi, perché poi l’uomo è l’atleta, e alla fine il risultato è esclusivamente un termometro delle tue qualità di uomo. Uno può bluffare, ma di pochi metri: uscendo in samba o in sincope quei dieci metri in più riesce anche a farli, però sono sempre solo dieci metri, non sono cinquanta. Io penso sempre che la performance sia il risultato che viene fuori dalle tue qualità di uomo.
Qualcuno diceva, riferendosi alla profondità: “Laggiù c’è il diavolo”. Tu lo hai mai incontrato?
Se non sbaglio queste parole sono di Maiorca. L’ho sentito parlare pochi mesi fa, all’Eudishow, dal vivo, e mi ha emozionato tantissimo, mi emoziona sempre sentirlo parlare: lui ha una visione del mare molto, molto poetica. Laggiù, più che il diavolo, incontri il tuo diavolo, nel senso che un po’ di dio e un po’ di diavolo c’è in ognuno di noi: quando vai nel buio e nel freddo, e ti allontani “dall’aria = vita”, vengono a galla le tue paure. Per questo mi piace molto lo Yoga, la meditazione, perché ti aiutano a superarle, a cercare di capire. Così, quando emergono si sa come dominarle.
Davide, tu sei anche un appassionato pescatore in apnea e, guarda caso, un fortissimo profondista. Non ti chiedo a quanti metri peschi, sicuramente sono tanti: non voglio generare nessun tipo di emulazione, soprattutto in quei ragazzi che frequentano corsi di apnea quasi esclusivamente perché pensano che solo aumentando le quote operative si diventa pescatori più bravi. Qual è il tuo punto di vista?
Anche per la pesca ho cominciato da ragazzino, è stata una cosa parallela all’apnea, e penso che anche quella faccia parte del proprio equilibrio di uomo. A me piace dire che il mare mi nutre ad ogni livello, mi nutre lo spirito, mi coccola, e mi dà anche da mangiare.
Il massimo. Mare – madre: è quasi uguale. Che cos’è una immersione profonda: entrare dentro il mare o è il mare che ti entra dentro?
Tutte e due.
Hai avuto un brutto episodio col taravana. Che cosa ti ha insegnato e che cosa vuoi raccomandare a quanti praticano la pesca in apnea e sono quindi soggetti agli effetti di immersioni ripetute, spesso ravvicinate e a quote sempre più profonde?
Purtroppo il taravana si è manifestato sempre più frequentemente negli ultimi anni a causa dell’aumento delle quote raggiunte e da tecniche di allenamento che permettono recuperi più rapidi. Ci sono studi in corso, ogni tanto si sente qualche novità, qualche teoria differente. La scienza ha bisogno di tempo e di una casistica importante. Quello che mi sento di dire, e questo vale per il taravana ma anche per la sincope, è che la vita è preziosa, e bisogna fare attenzione. Il miglior modo per me di fare attenzione è quello di lavorare sulla consapevolezza, perché non è solo un orologio che ti può dare una indicazione, ma deve essere soprattutto la tua sensazione: bisogna imparare ad ascoltarsi il più possibile. Quando uno si sente stanco o avverte qualcosa che non ha mai sentito prima, è giusto prendersi il tempo di riposare, di respirare. Siamo uomini e abbiamo le nostre debolezze; certe volte, pescando, ci facciamo prendere da una sorta di frenesia alimentare, vediamo pesce e ci prende questo attaccamento alla materia. Bisogna ricordarsi in quel momento che nessun pesce vale la nostra vita: dieci minuti in superficie possono fare la differenza. Certo è facile dire che faccio attenzione quando parlo con amici, seduto comodamente a casa mia. Quando sei in mare le cose cambiano e non vedi l’ora di scendere a fare un altro tuffo perché magari hai visto i dentici, ma è lì che devi rinunciare, è lì che devi avere la forza di saper aspettare. Credo che una delle qualità più importanti per un pescatore sia la pazienza. E può capitare anche che quei dieci minuti in superficie ti diano quella tranquillità che ti regala quei tre secondi in più di aspetto, determinanti per la cattura.
Sei nato il 25 dicembre, giorno di regali. Qual è il più bello che hai mai ricevuto?
Guarda, ho saputo che la mia compagna era incinta, proprio il giorno di Natale: è stato il giorno in cui mi sono emozionato di più, nella mia vita. Fino ad allora il mio compleanno, coincidendo con la festa natalizia, in famiglia passava inosservato, ma quel anno lì è stato davvero speciale. Quando sei laggiù c’è molta gente in acqua e in superficie, ma sei solo; eppure a quel cartellino arriva tutta la squadra. Mi piace finire così, non ho bisogno di fare i nomi e comunque la lista sarebbe troppo lunga. Esprimo a tutti la mia gratitudine. Ringrazio Davide Carrera, li ringrazio tutti e tre: l’apneista, il pescatore e l’uomo.