Luca Fenza

Il Campidano, la più estesa e ricca pianura dell’Isola, forse perché spazzolata dai venti incanalati di Maestrale e Scirocco dei golfi di Oristano e Cagliari, risulta un acceso “focolaio” di quella passione che spinge gli uomini più prestanti ad andare sott’acqua con maschera pinne e fucile. Serramanna, epicentro di questa regione agricola per eccellenza, perso lo smalto del settore vitivinicolo, ma ancora vivace per la “concioffa de Serramanna cima grussa e conca manna”, culla dei pomodori Casar, ospita tra i 9000 abitanti, tal Luca Fenza: quattro stagioni vestito di nero, con una robusta asta di legno, lunghissime calzature e una speciale maschera facciale con antenna che il Covid-19 gli fa un baffo. Luca nasce nel 1975, da anni serve lo Stato e quindi tutti noi, e durante il fine settimana, assolti gli obblighi di famiglia, si dedica alla sua incontenibile passione: la pesca in apnea.
Ci vuoi raccontare come hai iniziato?
Non sono un figlio d’arte. Mio padre, nel periodo estivo, era nel pieno dell’attività lavorativa, alla Casar e quando ero in età “sensibile”, poteva accompagnarmi al mare solo saltuariamente. Fortuna che zio Puccio era molto più libero e in più peschicchiava con la fiocina, nel sottocosta oristanese, tutto ciò che si muoveva e pareva commestibile: polpi, murene e pescetti per fare la zuppa. Avrò avuto più o meno 13 anni. Lo seguivo e ogni tanto mettevo a segno qualche fiocinata. Contribuivo al pasto, ma l’importante era acquisire quell’acquaticità che mi è sempre stata riconosciuta. A 16 anni, finito il biennio scolastico delle superiori, purtroppo o per fortuna, iniziai la mia carriera professionale con l’inevitabile distacco dalla pesca. Per 10 anni non toccai più niente di salato, finché mi ritrovai per le mani un’emozionante video cassetta del mitico ingegnere Giorgio Dapiran. Allora mi trovavo all’estero, in missione, ma al rientro la prima cosa che feci è stata quella di acquistare una copia di Mondo Pesca. C’era un’intervista a Bruno Corsini, coinvolgente. Da lì ripresi ad andare sott’acqua.

 


Come ti sei organizzato?
Era il 2000 credo, non ero più giovanissimo e ebbi la fortuna di incontrare Gianfranco Loi, un mito in Sardegna, ma non solo. Mi consigliò di frequentare altri pescatori in apnea e iscrivermi in una società sportiva, all’Air Sub, e così feci. Presi il brevetto di apnea con Michele Avaro. Poi dopo qualche anno presi il brevetto di pesca agonistica, sempre da Air Sub, con quel Mauro Meloni, per anni protagonista della pesca sub anche su queste pagine. Così ripresi a pescare con assiduità, con un gruppo ristretto di atleti con pari requisiti e esperienza. Quattro volte al mese, nel fine settimana, preferibilmente il sabato così da salvaguardare anche le sacrosante esigenze familiari. E non c‘era verso di farci rinunciare. Ci muovevamo con qualsiasi condizione meteo. Carloforte e Portoscuso erano le nostre mete preferite per il pesce bianco e le cernie.
Quando hai fatto il salto di qualità?
La svolta come pescatore maturò dopo un’uscita a pesca con Sergio Cardia e Gianfranco Loi. Quest’ultimo, anche lui campidanese, ma molto più esperto di me, in forma e agonista di successo, mi prese a benvolere e così diventai la sua ombra, io e zio Puccio, insuperabile barcaiolo. Devo dire che sono stato un’ombra capace di crescere velocemente e stare al suo passo, escludendo naturalmente le performance più impegnative.
E oggi, come sei?
Copiando dal maestro sono diventato un discreto razzolatore che modula la sua tecnica di pesca in funzione delle condizioni e del periodo. Ad esempio in primavera escluderei la pesca profonda perché l’acqua è sporca e fredda. A luglio, di solito, il liquido è pulito e allora vale la pena scendere a 30 metri. Col freddo, da novembre a febbraio, rende bene il bassofondo, la pesca sottocosta alle spigole e ai muggini e alle lecce che li seguono. Da febbraio in poi mi dedico ai saraghi sul mezzo fondo, più o meno 15-20 metri. Comunque se-guo una batimetrica e se mi rendo conto che non c’è attività cambio livello, più su o più giù di diversi metri. Quando il sole scalda l’acqua, stagionalmente, e si forma il termoclino, cioè quella brusca variazione della temperatura dell’acqua tra lo strato più superficiale e quello profondo, è inutile intestardirsi a cercare i pesci a quote abissali. Anche loro preferiscono le temperature più miti e si muovono, normalmente, al di sopra del termoclino. Io mi adatto e sto in caccia nella fascia meno profonda. Per inciso, nella costa ovest, il termoclino è molto marcato, almeno rispetto a quello della costa orientale.
Qual è il tuo spot preferito?
Pesco principalmente “vicino” a casa, tra Carloforte e Bosa (Carloforte... Oristano... Bosa...). In questa costa si ripetono più o meno tutti gli scenari possibili con occasioni di pesca tutto l’anno e con tutte le specie di pesci. Ma sono affascinato anche dal nord Sardegna, tra Castelsardo e Costa Paradiso: c’è molto grotto e granito come nell’Oristanese e all’isola di San Pietro.
Quando ti sei sentito “arrivato”?
Mi sono sentito maturo nel momento in cui ho capito quando devo sparare un pesce. Spesso incontro animali che ti emozionano, come, ad esempio, le cernie. Pesci che vorresti sparare al volo, anche per paura di perderli. Immaginarsi il poi, prima di premere il grilletto, è un punto di arrivo. Infatti, spesso si rischia di ammazzare un pesce senza avere poi la possibilità di goderselo e magari rischiare qualcosina per il recupero difficile e le ripetute immersioni. In queste occasioni è saggio marcare il pesce e ritentare anche a distanza di tempo, con un sparo sicuro, tanto da consentire un recupero in piena sicurezza. Al banco Pomata, in seguito allo sparo e il faticosissimo tentativo di recupero di una cernia, a 27 metri, io e il mio compagno di pesca ci addormentammo in gommone: la cernia rimase giù.
Un altro aneddoto?
A ottobre qualche anno fa, a Su Pallosu, nell’oristanese, in compagnia di Gabriele Meloni e Matteo Scano. Al rientro, dopo un’intera giornata “a scorrere” senza prendere nulla, decisi di visitare una tana dove in precedenza avevo visto e preso altre cernie. Mi stupii perché illuminando la tana trovai il muso di un mostro di 30 chili. Sparai al volo e nello stesso tuffo portai in superficie, da 24 metri, una bellissima cernia.
Brutti ricordi?
Non ho mai avuto paure di nessun tipo, però una volta ho perso conoscenza per sincope. A su Pallosu, con Luca Porcella, ero forte e allenato, a 24 metri, dopo una piccola ricerca notai alcune corvine, una decina di metri distanti. Decisi di risalire per fare un’altra discesa in pieno, ma vidi una cernia che spostò col muso le corvine e s’intanò. La scena mi ricaricò di energia è partii all’attacco. Illuminai la tana, tanto da vedere che la cernia non era messa bene. Ripiegai su una corvina di 2,4 kg, ma in risalita mi resi conto di aver tirato troppo apnea. Persi i sensi, per fortuna già in fascia positiva, e mi ritrovai in gommone, salvo, dopo una serie di schiaffi, grazie a Simone Piras, attento barcaiolo. Poi rientrarono gli altri compagni, Luca e Nicola Fadda Tempesta. In seguito, per più stagioni non riuscì a superare i 20 metri. Alla fine superai il momentaccio e la cernia l’ho presa. La stessa tana, ancora oggi, continua a regalarmi belle prede.