Tra le fine del 1980 e l’inizio degli anni ‘90 mio padre e l’amico Alberto, specialisti nella traina col vivo, catturarono così tante e grosse ricciole da far invidia a molti angler della penisola. Infatti, capitava molto spesso che rientrassero in porto con bestioni di peso ben superiore ai 30 chili e non di rado riuscivano a effettuare anche splendide doppiette. Inoltre, spesso, riuscivano a prendere anche dentici maestosi che non erano indifferenti a una succulenta aguglia di 45 centimetri che veniva trainata su poco noti spot, costituiti da cigliate intorno a pietre e lastroni isolati nel fango. Questi spot erano territori di caccia di denticioni che spesso sferravano attacchi molto decisi sulla malcapitata aguglia, appena questa cominciava a scattare lateralmente se realizzava che era stata trainata in zona off-limits, con sparidi nelle vicinanze, affamati e con i dentoni affilati. Sicuramente a quei tempi il mare era più popolato, non ancora impoverito dalle cianciole a circuizione, ma, per ottenere con costanza quei meravigliosi risultati, ci volle qualche anno di “rodaggio” non privo di desolanti cappotti. Riuscirono a affinare la tecnica, migliorando da un lato l’innesco ma soprattutto mettendo a punto una perfetta strategia di approvvigionamento e conservazione in vivo delle esche per tutta la battuta di pesca.
Era il 1990 - Nel ‘90 già seguivo i due adulti nelle loro battute di pesca a ricciole nel Cilento e proprio in quell’anno, fuori Punta Infreschi, catturai la mia prima ricciola di 16 chili. Ricordo che la giornata di pesca iniziava a Pisciotta alle 4:30 del mattino quando Alberto ci da-va la sveglia. Bussava la porta del camper con la mano destra, nella mano si- nistra portava il caffè caldo in due bicchierini, mentre tratteneva tra le labbra la sua prima Marlboro della giornata. Giusto il tempo di prepararci e alle 5 già eravamo pronti per mollare gli ormeggi del nostro gommone, un Bat 66 Nordic motorizzato con un 150 Evinrude e un ausiliario da 10 cavalli che utilizzavamo per trainare.
Le esche - Usciti dal porto andavamo sugli spot sotto costa per pescare le esche. La più utilizzata era l’aguglia, che veniva catturata già a quei tempi con le mitiche matassine Skeinfish di Sandro Indoni, che da Roma arrivavano a casa, puntali, ogni mese. A quei tempi, ovviamente, il gommone non era attrezzato come le moderne imbarcazioni full optional. Inizialmente non avevamo neanche un cartografico e ci affidavamo alle preziosissime carte nautiche dell’IIM, arricchite di appunti a matita dei vari spot scoperti e custoditi gelosamente e rintracciati con le mire a terra incrociando due rette passanti per 4 punti cardinali.
La traina - Si trainava tutta la giornata seguendo le batimetriche dai 30 ai 50 metri, percorrendo decine di miglia sotto il sole a andatura abbastanza sostenuta, sopra i due nodi di velocità, tra Maratea e Punta Licosa. Trainavamo con due canne Italcanna accoppiate a due Penn Senator o Everol, imbobinati con nylon o dacron. L’innesco era realizzato con precisione maniacale per consentire all’aguglia di nuotare con la massima vitalità e naturalezza possibile, in modo da non destare sospetti nelle furbe lole. Utilizzavamo già un tubicino trasparente per chiudere i mascellari dopo averli bloccati con un amo trainante. Per il ferrante, optammo, per non lede-re le carni delicate dell’aguglia, per fissare l’amo avvolgendo attorno al corpo dell’aguglia un semplice filo di rame.
Agugliera - A bordo non avevamo una vasca del vivo per mantenere in vita le esche, e quindi utilizzavamo una “agugliera” affondata sulla murata destra del gommone. L’agugliera è un sistema geniale, ancora oggi molto valido per mantenere le esche vitali durante tutta la giornata. Si tratta di uno spezzone di circa 7-8 metri di dacron al quale vengono fissati, distanziati di un metro, dei moschettoni con girella, tramite un nodo dropper loop. Appena catturata un’aguglia si sgancia il terminale, della lunghezza di un metro e mezzo a cui è collegata la matassina e, con un passaggio molto veloce e senza toccare l’esca, lasciando l’aguglia a mare, libera di nuotare con i filamenti ancora nel rostro, si fissa l’asola del terminale a un moschettone libero dell’agugliera. Un piombo da 300 grammi affonda il sistema sulla murata dell’imbarcazione così le esche nuotano su una verticale distanziate l’una dall’altra. Consiglio di utilizzare questo validissimo sistema, nei casi in cui non si disponga a bordo di una vasca per il vivo di generose dimensioni, di forma circolare e con un elevato ricircolo di acqua.
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