Il Franco Naturalizzato

Come ogni squadra che si rispetti, anche la Sardegna vanta un fuoriclasse straniero. Si chiama Franco Villani, bresciano, classe 1975. In verità è un “naturalizzato”, lavoratore nel petrolchimico a Portotorres e residente a Sassari, padre di un maschietto, oggi di appena tre anni. Stato civile: felicemente sposato. Il suo background è originale, inedito, impensabile per un normosardo. Franco infatti esordisce nel mondo alieutico nel lago di Garda in tenera età, su una riva, con una canna in mano, concentrato nella pesca, impegnativa, qual è quella al cavedano. Poi ancora trote, e carpe nei laghetti sportivi. Il passaggio dalla super- ficie al fondo, dalla pesca da terra a quella subacquea, soddisfa la necessità, la curiosità di Franco, a nove anni, di sapere in che modo mangiano i pesci. Una domanda che si pone da tempo a cui darà risposta solo dopo aver indossato la prima muta e la prima bombola di ossigeno, sul Garda e l’Iseo, come nel mare trasparente della Sardegna, visto che le vacanze... ai genitori... piacciono in giro, negli scorci incantevoli dell’isola più bella che c’è.
Quindi approdi il Sardegna da pescatore? Sì, pescatore senz’altro, ma non in apnea. Il primo fucile me lo regalano i genitori, avevo appunto 16 anni, e i primi tuffi con vocazione venatoria so-no sempre al Garda alle spese di lucci, persici e tinche.
Il tuo percorso verso quote impegnative? Mah, da autodidatta mi sono spin-to fino a 30 metri, prima in lago, poi in mare. In Sardegna, naturalmente, nell’estate del 1999, quindi poco più di venti anni fa, seguivo una corvina e mi accorsi per caso di aver raggiunto, per la prima volta, i trenta metri. Non è stata un’impresa, ho sentito l’allarme del computer e, piuttosto tranquillo, ho verificato la quota, sparato il pesce e infine sono risalito in superficie. Poi mi sono avvicinato alla didattica Fipsas conseguendo, in cinque anni, diversi brevetti. Il salto, in merito alla profondità, è avvenuto durante una “settimana dell’apnea” promossa dal circuito di Umberto Pelizzari, a Sharm el Sheikh, a maggio, nel 2005. Una vacanza di sette giorni durante i quali ho lavorato su me stesso, una prova che mi ha spinto dai 38 fino ai 60 metri.
Differenze tra lago e mare? Beh, l’ambiente, la visibilità, la difficoltà. I pesci di lago hanno ritmi diversi, sono molto meno smaliziati e quindi la cattura non risulta particolarmente impegnativa, anche se spesso la visibilità si attesta intorno ai due metri. Va meglio d’inverno, nelle belle giornate di sole dove allunghi la vista fino a 15-20 metri.


La tua tecnica preferita? Mi è sempre piaciuto l’agguato e l’aspetto. Tuffo con sgancio, secondo una tecnica tutta mia. In genere i miei colleghi si fanno trasportare dalla zavorra fino al fondo. In preferisco mollare i 5 chili di piom-bo 10-12 metri prima di arrivare, così da planare con delicatezza e avvicinar-mi al fondo con un margine sufficiente per impostare una posizione corretta.
Pericoli? Estate del 2000, a Cala Gonone, finito il militare, a 34 metri in una tana di una cernia, infilo la testa in un pertugio senza accorgermi della lenza di un palamito che si avvolge intorno al boccaglio. Fortunatamente ho mantenuto la calma e sono riuscito a risalire, mentre il mio compagno, secondo la regola del “un tuffo a testa” mi aspettava in superficie.
L’agonismo? L’esordio è stato con l’Apnea club Brescia, nel ’98, a Sirmione, al primo Campionato italiano di pesca subacquea in acque interne. In debito di esperienza, arrivai tra gli ultimi, ma non ero in forma e la sera scoprii che avevo la febbre. Pian piano ho migliorato le mie performance agonistiche e nel 2003 a Lazise sul Garda veronese, grazie a una caterva di pesci (19 pezzi per 35 chili, soprattutto tinche), conquistai una bella medaglia d’oro. In tutto ho vinto ben 4 campionati italiani individuali (2003-2006-2009-2018) e tre a squadre. In mare, nel 2009, arrivo terzo a Marsala, con Concetto Felice campione d’Italia. L’anno successivo a Bosa sono argento e ancora secondo, nel 2012, a Portoscuso dietro l’indimenticato e inarrivabile Bruno De Silvestri.
Ti sei ispirato a qualcuno? Mi piaceva molto Stefano Bellani perché aveva una tecnica pulita, simile alla mia. Sono stato suo “ secondo” a Lussino in Croazia. Per l’apnea, naturalmente Pelizzari col quale ho nuotato sul banco Skerki tra Egadi e Tunisia, a 74 miglia da Marsala. È malato di dentici.
Un aneddoto? Estate 1988, a 13 anni con le bombole in parete A Manerba del Garda. A 25 metri trovo una croce ricoperta di cozze, era una spada da cavaliere del 1300, naturalmente denunciata al Museo delle armi del castello di Brescia.

Un’esperienza
Agosto 2009, Corsica occidentale, con Pierfrancesco Salvatori “il matto”. Un paio d’anni prima mi promise la cattura di una ricciola. Variamo il Predator 580 a Aiaccio, destinazione: secche al largo. Al primo tentativo troviamo lo spot invaso da aquile di mare (Myliobatis aquila). Riproviamo l’indomani in condizioni mutate, con vento di libeccio e mare lungo da NW. Pierfrancesco dice che con queste condizioni troveremo le ricciole. In mezz’ora di navigazione arriviamo sul punto: un cappello a 29 metri e la base a 38. Un tuffo a testa e in gommone la sua fidanzata. S’immerge prima lui e al rientro mi dice: uno spettacolo, il ciglio si interrompe in un catino pieno di cernie di 12-20 chili. Dovevo vedere! Dopo la capovolta vedo il catino e un testone grigio che saliva. Mi allungo per lo sparo, un po’ preoccupato perché Pierfrancesco avrebbe potuto pensare che stessi sparando alle cernie. Proseguo la caduta e lei continua a puntarmi. A una di- stanza di 2,5 metri la sparo dietro la testa. Era una ricciola di 29 chili. Purtroppo non vidi le cernie.