Francesco Salvatori

Un pescatore, una storia... unica, originale, anche sopra le righe, ma sempre affascinante.vQuarantacinque anni di dentici e altri pesci, ma anche di personaggi e avventure, spesi con passione intorno al 43° parallelo.

Finita l’intervista, impegnativa per la vivace esuberanza di Francesco, mi sono “affondato” nella poltrona e ripensando a questa nuova conoscenza mi è venuto in mente Vasco Rossi e la sua “Vado al massimo”. Il nesso è palese per chi lo conosce, per chi sa di cosa e capace, e lo sarà anche per gli altri, alla fine di queste quattro pagine. Il succo è contenuto nel dentice, la sua preda preferita, e in quel traguardo che aggiornato in difetto conta ben 2100 spari. Pierfrancesco Salvatori, detto “il matto”, è un signore di mezz’età, 62 anni ad agosto, ben portati. Originario di Forte dei Marmi, ma da tempo residente a Capraia, inizia la sua avventura subacquea più o meno a 10 anni, pescando cannolicchi, quelli marroncini con le estremità spigolose, sulle spiagge di Forte dei Marmi.

Piefrancesco Salvatori col dentice numero 2000.

Quando sei passato ai pesci? A 18 anni i miei genitori mi regalano la muta, così ho iniziato a fare pesca in apnea con un amico del posto. Pescavamo branzini, fondamentalmente alle dighette artificiali di Marina di Massa.

Prima spigola importante? La ricordo bene. Era il maggio dell’81. Col mio amico Francesco, tre anni più grande di me, ci mettiamo in viaggio alle quattro del mattino per arrivare ancor prima dell’alba a Tellaro, un piccolo bor- go marinaro, fra i più belli d’Italia, arroccato su una scogliera nel comune di Lerici. Ci cambiamo sugli scogli e alle prime luci ci tuffiamo in un’acqua calmissima, presto riscaldata dal sole. Non c’era molta attività, ma sul finire, dopo sette ore di ammollo, mentre nuotavo in superficie su un fondale di circa 4 metri e impugnando un fucilino a aria con la fiocina, mi avventuro in una specie di grotticella e nel buio dell’ombra noto un chiarore che poteva essere il ventre di un sarago. Quindi sparo alzando la mira, dove secondo me avrei trovato le carni sode del fianco. Ma, con grande meraviglia e soddisfazione, nonché fortuna, realizzo che non si trattava di un sarago ma di una spigola, una grossa spigola infilzata in un occhio con la punta estrema della fiocina. Pesava ben 6 chili e mezzo. A farle compagnia una bella saragata, con uno di un chilo e tre.

Uno scorcio di Capraia, l'isola dove Francesco è stato "folgorato" e si è convertito al dentice.

La via di Damasco? Beh, diciamo che per 4 anni ho continuato a pescare tra le dighette e la Liguria, quasi sempre in compagnia di Francesco, a caccia di spigole in acqua generalmente torbida, con visibilità di 2-3 metri. Ma, la folgorazione è arrivata nell’85, col Club Subacqueo Artiglio di Viareggio. Loro erano quasi tutti bombolari e ci immergiamo all’isola di Capraia. Per me è stata un’esperienza scioccante, una rivoluzione. Non avevo mai visto un’acqua così pulita, cristallina, e soprattutto per la prima volta incontro un banco di dentici. Una visione che mi ha sconvolto, convertito alla religiosa osservanza della caccia profonda in acque limpide. Da quel momento, visto che avevo potenzialità inespresse, con apnee di 6 minuti da fermo, cerco di organizzarmi per ripetere l’esperienza e l’Arcipelago, la Corsica e la Sardegna, mi hanno assistito.

Francesco con un bel denticiotto e le pinne in carbonio inventate dal suo amico Marco Bonfanti.

Quindi, il primo dentice? A giugno dell’86, un week end a Capraia, in vacanza con una coppia di amici. Per l’occasione avevo portato sul portapacchi dell’auto un piccolo gommone con un 20 hp. Una mattina, di buon ora, esco e mi dirigo alle Formiche, una serie di scoglietti affioranti, oggi parco nazionale, a un tiro di schioppo a nord dell’isola. Al primo tuffo, a 25 metri di fondo, mi arriva un banco di una decina di pesci, tutti dentici, più o meno della stessa grandezza. Sparo senza grandi difficoltà e ne prendo uno di 2,8 chili. Un sogno che finisce il giorno seguente, alla brace, in una vicina baietta.

Inizia l’era Dentex? Da lì dopo 2 anni, nell’88, incontro Valerio Grassi, fondatore della Omer. Diventiamo amici, mi fornisce le migliori attrezzature e mi introduce nel mondo che conta. Incontro tutti i migliori atleti del mondo, primo fra tutti Maurizio Ramacciotti, tutt’ora amico e compagno di pesca. Però, tutti pescavano di tutto per via delle esigenze agonistiche. Ciò nonostante io avevo la mia linea e il mio bersaglio: il dentice.

Titoli? Tra il ‘79 e l’82 ho preso i brevetti Ara di primo e secondo grado. Ma un titolo, di altro genere, che evoca bei ricordi, segue la trentennale amicizia con Umberto Pelizzari, grande personaggio dal quale ancora oggi accetto consigli. Era ottobre, un venerdì del 1996. Dopo pranzo Umberto mi chiama e mi chiede: “Matto, cosa fai questo week end?”. Sarei andato a caccia di tordi, risposi. “Lascia stare e andiamo in Francia a fare una gara, partiamo stasera.”. Io impacchetto tutto di corsa e lo raggiungo a Genova. Lì trovo Gaspare Battaglia, Davide Carrera e altri. Arrivati in albergo, in Costa Azzurra, a Saint Jean Cap Ferrat, leggo in un cartello “1° Campionato mondiale di apnea a squadre”. Umberto era il nostro capitano non agonista, e voleva dimostrare che potevamo vincere anche senza la sua indiscussa superiorità. Partecipavano 25 squadre. Una prova in piscina di apnea massimale e una discesa sul cavo, in una boa in mezzo al golfo, proprio davanti al cantiere dove lavoro oggi. Fatto sta che vincemmo il titolo, anche grazie ai miei 42 metri, seconda prestazione di squadra.

La squadra improvvisata che ha vinto il 1° Campionato mondiale di apnea. Francesco accanto al mitico Umberto Pelizzari, qui a sn. Si riconosce col cappellino al contrario Davide Carrera e accanto Gaspare Battaglia.

La prima volta in Corsica? Nell’87 con Francesco, a Centuri, sul lato occidentale del ditone. Eravamo in macchina col gommoncino sull’imperiale, d’estate. Uscivamo in mare la mattina presto in esplorazione, guidati da un preventivo studio meticoloso delle carte nautiche. Verificavamo il fondo, i dislivelli, le punte, tutto senza strumenti. Il tempo era ottimo ma per sfortuna di pesci se ne vedevano pochi e nessun dentice. Forse era prematuro, non eravamo ancora abbastanza esperti. 

E in Sardegna? In Sardegna andò un po’ meglio. Mi trovavo lì spesso perché a Orosei acquistavo il marmo per la mia impresa. Nel fine settimana giravo l’isola con un materasso nella Opel Kadett familiare. La prima uscita in mare fu a Cala Gonone, un bel posto per orate, saraghi e corvine. L’ho frequentato molto volentieri per 4 anni, dall’87 al 1991.

Le tue mitiche navigazioni? Nell’88 compro un nuovo gommone col carrello. 4 metri e trenta, sufficienti per andare al Giglio e Portofino, Corsica e Sardegna. Nel ’90, con il Loran, andavo in Corsica da Viareggio. Percorrevo 64 miglia per andare e altrettante per tornare, spesso nella stessa giornata. Per questo hanno iniziato a chiamarmi “il matto”. Poi 21 anni fa ho comprato un gommone di 5,40 m, un Predator Italboats, col Yamaha 115. Facevo 5000 nm a stagione, prima della casa di Capraia, acquistata 15 anni fa. Ora non supero le 300 ore all’anno.

Agonismo? La gara non è il mio sport. Il mio tempo è per pescare e prendere dentici. Comunque, dal 2006 al 2017 ho partecipato a 4 “Coppa dei Campioni”, in Grecia, con Silvano Agostini, Fabio Antonini e Stefano Bellani, con buoni risultati. 

Il pesce più grosso? Nel ’90 a Capo Corso, davanti alla Giraglia. Ero con un amico di Lucca, a luglio, una bellissima giornata con tanta visibilità e le ricciole in frega coi gabbiani in mangianza. Era molto fondo ma i pesci stavano a mezz’acqua. Tutti animali da 20 a 40 chili in gruppi da 7-10 esemplari. Potevamo fare una strage ma la regola era un pezzo per ciascuno, il mio pesava 48 chili.

Non solo dentice ma anche grosse ricciole.

Il più strano? Una rana pescatrice di 42 chili pescata in una gara sociale dello Sturla un 25 aprile a Punta Mesco, alle Cinque Terre, oggi parco con divieti assoluti. Stava sul fondo, facevo un aspetto ai dentici e sulla destra vedo lo straccetto che si muoveva. Sparo a 26 metri con l’arbalete… fulminata.

Un fatto? All’Elba, alla fine degli anni ’90, sulle secche di Mezzo canale, al largo di Pianosa. Ero concentrato sui dentici, tanto per cambiare, e “aspettavo” oltre i 30 metri. Una sagoma scura, che sembrava un sottomarino in titanio, si avvicina e mi sfila davanti, era un tonno sui 300 chili. Mi sono stupito anche perché nuotava veloce ma non si percepiva quasi nessun movimento. Non l’ho sparato perché le possibilità di fermarlo erano pressoché zero.

Perché il dentice? Perché è furbo, sfuggente, nuota in acque pulite, in un ambiente spettacolare. È bello e appagante, anche se non lo catturi.  Col dentice interagisci. Devi incuriosirlo e devi intuire come muoverti. L’abilità è capire cosa fare relazionandoti con la preda. In questa pesca ci vuole il senso del mare, il mio è particolarmente sviluppato.