Lo vedo da lontano, di spalle. Mi avvicino, diventa sempre più grande: un metro e novantacinque, cento chili ben distribuiti, nove litri e tre nascosti (mica tanto) nel torace. Mi dà l’idea che se gli si intana una cernia lui solleva il lastrone. Ne ha preso una, la mattina, di 7,700 chili. A 62,4 metri, migliorando di un bel po’ il record precedente da lui stesso stabilito. Pensando a quella quota provo un leggero senso di vertigine che scaccio via con una stretta di mano e complimenti sinceri.
Qual è la cosa più difficile?
Trovare il pesce (scherzando). Adattarsi alla profondità (serio).
Ma laggiù i pesci come sono?
Oltre i 30 metri i pesci sono più abbondanti e più grandi ma hanno esattamente lo stesso comportamento che hanno a quote più basse; basti pensare che sia ieri che oggi (i primi due giorni del tentativo di record ) ho visto soltanto un dentice, intorno ai tre, quattro chili, piccolo per quelle quote, che in entrambi i casi si è comportato da dentice: è venuto per un attimo e poi è scomparso nel blu. Non è assolutamente vero quanto è stato dichiarato, anche da grandi campioni, che il pesce in profondità diventa una preda facile, quasi banale. Oltre al gesto atletico, all’atteggiamento mentale e a una condotta di vita rigorosa occorre qualcos’altro per pescare a quote così eccezionali. Bisogna adattarsi alla profondità.
Lo hai accennato prima. In che cosa consiste?
L’adattamento è legato a problematiche di tipo fisiopatologico: la parte destra del cuore, quella che riceve il sangue dalla periferia attraverso la vena cava superiore e inferiore, ad alte profondità e ad alte velocità di discesa si dilata enormemente, fino a quattro volte, mentre il cuore sinistro, al contrario, non riesce a spurgare il sangue, deve contrastare la pressione esterna che impedisce di superare certe resistenze, e quindi provoca una sensazione che si avverte facilmente, intorno ai cinquanta metri, che poi dipende dal grado d’allenamento; io per esempio l’avverto adesso già oltre i cinquanta metri.
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