Deep Tai Rubber Kabura

Allo studio e precisione dei giapponesi, il pescatore tricolore risponde con la fantasia e l'ingegno, in questo caso adattando una tecnica light per impegni ben più gravosi.

In Italia, nell’ultimo decennio, complici le influenze del Sol levante, si è avuta un’ampia diffusione delle tecniche di pesca verticali, soprattutto quelle comprese nella macro categoria del light jigging, per esempio l’inchiku, lo slow pitch, il kabura e il tai kabura. Il tema di quest’articolo è il tai kabura applicato, però, su batimetriche più profonde rispetto all standard. Nella sua concezione originale, quella made in Japan, il tai kabura si esprime con modalità estremamente light e impiega artificiali di poche decine di grammi. Questi ultimi sono costituiti da una testina di piombo, con un foro passante, dove scorre il fluoro del terminale. A valle del filo, il corpo dell’esca batte su un solid ring a cui sono collegati due assist e un leggerissimo gonnellino di materiale siliconico. Il tai rubber è un’esca ideale per insidiare i pesci grufolatori, sulle batimetriche comprese tra i 40 e 70 metri al massimo. Per ottenere buoni risultati è necessaria una canna di lunghezza non inferiore ai 240 centimetri, molto sensibile in punta poiché il vettino deve animare alla perfezione l’artificiale, e piegarsi, assecondando la mangiata, senza trasmettere alcuna resistenza ai grufolatori. A questa si abbina un mulinello casting, piccolo, preferibilmente con il free spool, imbobinato con multifibra molto sottile al massimo PE 0,8, al quale si collega il terminale di fluoro lungo tra i 3 e i 5 metri con diametro dello 0,30 al massimo 0,35.Spesso le catture avvengono quando l’esca presenta una particolare leggerezza e non è appesantita nella parte del gonnellino da esche naturali (quali anellidi, stiscioline di cefalopodi, gamberi di paranza o filetto di sardina).

Zavorre per il basso e medio fondo. Per il deep ci vogliono i modelli da 250 grammi.

Versione deep - Di seguito alla versione originale si è sviluppata una tecnica più pesante, molto divertente e redditizia che trova applicazione su batimetriche impegnative che vanno da 70 metri fino ai 200. Resta evidente che aumentando a dismisura la colonna d’acqua è indispensabile rimodulare il complesso pescante in termini di esca, canna, mulinello e filo. Per quanto riguarda gli artificiali è ovvio che il peso dell’esca aumenti per arrivare fino ai 250 grammi e oltre, qualora decidessimo di sondare spot a profondità superiori ai 150 metri. Sul mercato esistono ormai molte proposte di artificiali di varie grammature anche superiori, appunto, ai 200 grammi, già armati con assist e ami. Inoltre, per gli amanti del “do it yourself” come il sottoscritto, si fa presto a realizzarli: basta un piombo a sfera o pera, semplici da forare, con la giusta inclinazione per consentire il passaggio del doppio assist, e il grosso è fatto. Si consiglia di rifinire con colorazioni fluo e glow in particolare per il gonnellino e gli arricchimenti degli assist, in modo da magnificare la visibilità anche in profondità. In ogni caso se il fondale è importante e il target è una preda di taglia, è consigliabile, nelle esche confezionate, cambiare il cordino e gli ami, perché, spesso, risultano sottodimensionati o di scarsa qualità e quindi inadatti a sostenere un combattimento in sicurezza.

Portando giù le esche si cattura un po' di tutto, dalla gallinella al cappone.

Per quanto riguarda le canne la scelta in questo caso va su modelli robusti da slow pitch, lunga 7 piedi al massimo e con un range casting variabile a seconda dell’artificiale, tra 150 e 300 grammi, con azione compresa tra PE 2 e 3. Alla canna, abbiniamo un mulinello rotante con un rapporto di recupero non troppo spinto e un drag al massimo di 20 libbre, ma che abbia il free spool in modo da agevolare le manovre di pesca in fase di rilascio dell’esca. In bobina è necessario un multifibra di ottima fattura, da 20 libbre, sezione perfettamente tonda, PE max 1,5, con altissima capacità di taglio della colonna d’acqua e che opponga pochissima resistenza in fase di caduta. Il complesso pescante si chiude con uno spezzone di fluorocarbon dello 0,40-0,50 di circa 4 metri, al quale si aggancia l’artificiale con un moschettone con girella o con una semplice accoppiata solid+split ring. Nel “deep tai karbura”, al contrario di quanto avviene nella versione originale più spoglia e leggera, è bene accompagnare l’artificiale con un generoso innesco naturale in modo da conferire all’inganno un maggior poter attrattivo e catturante a seguito della scia odorosa sprigionata. Le principali esche da utilizzare e che danno dei buoni risultati sono stati rispettivamente: filetti di alici e sarde, strisciolina di calamaro o totano, cappellotti, gambero di paranza o qualsiasi filetto di pesce esca che normalmente riusciamo a pescare dalla barca, vedi sgombro, sugarello, aguglia, alaccia, etc..

La ricerca dello spot non può prescindere da un ottimo strumento.

Spot - Gli spot di pesca più produttivi sono le aree di coralligeno isolate nel fango, anche semplici pietre dove ci sia presenza e richiamo di pesce foraggio. Una volta individuato lo spot di pesca sul nostro ecoscandaglio è possibile impostare la traccia calcolando la direzione della risultante tra scarroccio e corrente di fondo, in modo da effettuare la passata sul punto identificato nella migliore condizione. Questa tecnica risulta molto redditizia se le esche vengono fatte scarrocciare a una velocità bassa e sempre sotto a un nodo. In condizione di vento sostenuto, tale da impedirci un controllo attento della velocità, ci possiamo aiutare con una grossa ancora galleggiante, come il paracadute utilizzato nel drifting ai tonni, oppure effettuando uno scarroccio controllato con una rotta preimpostata con l’ausilio del motore di prua (mai manchi) qualora fosse in dotazione sulla nostra imbarcazione. L’azione di pesca più efficace consiste nel far oscillare l’esca nella fascia batimetrica del fondale negli ultimi dieci metri, facendo cadere e sbattere l’esca sul fondo in modo da attirare i predatori anche con il tonfo. Una volta sul fondo l’esca viene recuperata con lenti giri del mulinello intervallati a stop a cui seguono leggerissime jerkate della vetta che conferiscono all’esca un’azione a scatti. Così si invoglia il predatore in scia interessato all’esca, a mordere l’artificiale.

Anche la tenuta, sul medio fondo misto, è una preda frequente.

Non è difficile effettuare catture di tutto rispetto tranquillamente sopra al kg di peso con grossi esemplari di tanute, musdee, gallinelle, scorfani rossi, occhioni e naselli. Ovviamente negli stessi spot dove poter insidiare occhioni musdee e naselli capita molto spesso di poter agganciare qualche serpentone, altrimenti grongo, anche intorno ai 20 kg, che mette alla prova le nostre capacità e la nostra attrezzatura, dando vita a un combattimento divertentissimo ma anche molto stancante. Giusto per la cronaca a me è capitato di portare a bordo un grongo di grandi dimensioni (circa 20 kg) da una profondità di 130 metri con attrezzatura molto light e mulinello manuale… in questi casi il divertimento è assicurato anche se c’è il rischio, come accaduto al sottoscritto, di beccarsi una tendinite al gomito per circa due settimane.