Nonostante il titolo, Dario e la Cernia non raffigura una storia d’amore, anche se un po’ d’amore c’è. “Dario e la Cernia” è l’ennesima testimonianza di un rapporto intimo tra due mondi, uno subaereo e l’altro subacqueo. Ed è un rapporto che nasce dal nulla, su presupposti universali, quando il mare ti affascina. Dario si racconta e torna inevitabilmente indietro alla sua gioventù. A 9 anni ricorda le prime esperienze e poi le maratone in mare, di mattina e di pomeriggio, a Costa Rei o nella casa di Orosei. Respirava mare e pesci, “per via di babbo e mio fratello”, cannista il primo e apneista il secondo. La malattia è diventata cronica intorno ai 15 anni, quando superate le esperienze col Polpone grigio, “sono passato al Cressi SL 70 ad aria compressa e al debuttante arbalete francese”. Dario è sempre stato uno sportivo ma non vedeva nella pesca un argomento da condividere, non gli piacevano le gare, soprattutto. “Ma andavo volentieri a pesca con Sergio Cardia, mio compagno all’Istituto agrario”. Poi, inspiegabilmente o forse travolto dalla vita, l’oblio. Per cinque lunghissimi anni ha appeso le pinne al chiodo.
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