Alessandro Usai

Nato tra pescatori Alessandro matura un suo equilibrio senza folli avventure, e dopo la scuola di D’Agnano e Dapiran e un corso di apnea, approda al club olbiese Una capovolta nel blu col quale intende proseguire l’attività agonistica.

Alessandro Usai

Alessandro Usai, come tanti nativi della giudicale e granitica Terranoa, ai tempi nostri Olbia, città internazionale, ancora oggi illuminata dal passaggio del ginevrino principe ismailita, per noi tutti l’Aga Khan Karim della Costa smeralda, ha radici profonde nella capitale del nordest, lunghe intere generazioni. Quindi, ancora in fasce, è avvolto dall’atmosfera del mare, dal salino del vento e in epoca comunicativa, dai racconti dei nonni mitilicoltore uno e cannista e bolentinista l’altro e del babbo esperto pescatore in apnea. “Ricordo i miei, che in casa preparavano l’uscita in mare… le mute… i fucili. Poi, al rientro, i festeggiamenti, con la famiglia al completo.”.
I primi pesci? Ho iniziato molto giovane, con la cannetta, ma già a otto anni, andavo sotto per qualche metro alla ricerca di vita subacquea. Ero bravissimo nella pesca ai bivalve, ai fasolari in particolare.
Come sei evoluto? Mah, la mia storia non è stata scandita da avvenimenti. Sono maturato piano piano, senza eccessi, così fino alla maggiore età. Finito il militare, a Cagliari, era forse il 2006, riorganizzai la mia passione. Per la prima volta andavo a pesca con regolarità, tutti i fine settimana.
Dove? Bazzicavo da Golfo Aranci a Capo Ceraso, normalmente da solo.
Un mentore? Cercavo di crescere con i video di Fabrizio d’Agnano e di Giorgio Dapiran e nonostante i tanti cappotti ero molto determinato. Sapevo che il punto debole era il mio approccio al mare e in questo i miei due “attori” furono fondamentali.
La svolta? Nel 2007 frequentai al Geovillage, un corso di apnea con Marco Bulleri e Antomaso Fresi. Fu un mesetto intenso e utilissimo al quale seguì la mia frequentazione da Mediterranea Sport, un bel negozio di via Aldo Moro a Olbia, dove ebbi la possibilità di fare amicizie e confrontarmi con pescatori del mio livello e di esperti veterani. Cosa pescavi? Un po’ di tutto, soprattutto sottocosta: spigole, muggini.

La tecnica? Beh, l’agguato senza dubbio. Il nord Sardegna, da Portobello a Santa Teresa Gallura è spettacolare, non solo per spigole e orate, ma anche per i dentici.
Raccontaci una cattura. Più o meno cinque o sei anni fa… sì, era il 2017. L’acqua era ancora calda a Capo Testa, e io tentavo l’agguato sul basso fondo. A un certo punto scorsi due dentici che si allontanavano verso il largo rasentando le rocce e la posidonia. Pinneggiando di buona lena, raggiunsi un animale che a me sembrò uno dei due inseguiti. Lo vidi mentre si nascondeva sotto un lastrone.

“Lo vedevo e non lo vedevo, il dentice, sempre nascosto da quelle pinne che muoveva lentamente. Decisi di sparare e lo trafissi dalla coda fin quasi al capo, praticamente “schironato”. Pesò 5,5 chili.”.

Mi liberai dello schienalino per muovermi senza costrizioni, su un fondale che forse raggiungeva i 15 metri. Quindi, quatto quatto, mi avvicinai al lastrone. Lo vedevo e non lo vedevo, il dentice, sempre nascosto da quelle pinne che muoveva lentamente. Decisi di sparare e lo trafissi dalla coda fin quasi al capo, praticamente “schironato”. Pesò 5,5 chili.
La tua tecnica preferita? Da tre anni a questa parte pesco anche in tana, ma la mia vera passione è sempre stata l’agguato. Ho ancora ampi margini di miglioramento anche per quanto riguarda l’apnea. La mia batimetrica più profonda è a 22 metri, ma, visto che da pochi mesi mi sono iscritto all’Associazione “Una capovolta nel blu” di Bulleri, dove è iscritto Maurizio Marini, campione italiano di apnea statica, anche se risulto l’unico socio che pratica la pesca in apnea, i presupposti per fare bene ci sono tutti. Io sono l’unico che fa gare di pescasub ma mi piace gareggiare per Olbia.
Un episodio spiacevole? Nel 2017 a Capo testa. Uscii da terra e improvvisamente, anticipando tutte le previsioni, entrò un forte vento settentrionale. Per fortuna ero abbastanza vicino agli scoglietti del capo in cerca di qualche pelagico, ma il rientro è stato difficile. Addirittura un’onda mi scara- ventò su una pietra affiorante e prima di riprendere il mare dovetti riflettere e concentrarmi.

Pesci strani? La rana pescatrice (Lophius piscatorius) nel 2020. Uscii in gommone da solo, dai pontili dalla marina della Sacra famiglia, diretto verso Capo Figari. Navigai col mio Joker boat 5,80 per circa 17 miglia. Era primavera. Mi tuffai su un fondale di dodici metri alla ricerca di saraghi in tana e fui distratto da una macchia scura, indefinita, su una roccia. Non la riconobbi subito, del resto non ne avevo mai vista una, ma mi avvicinai in caduta con l’arma puntata. Capì di cosa si trattava solo quando mi trovai quasi a distanza di tiro. Poi lo sparo, preciso, sulla testa, pesò quasi sei chili.