Una Secca quasi Sconosciuta

Una Secca quasi Sconosciuta

In piena estate la spiaggia affollata, straripante di gente, colori, ombrelloni, può diventare bellissima se vista dal mare, da molto lontano. Vista così soprattutto dagli occhi di noi pescatori in apnea. La fregatura sta nel fatto che più ci si allontana dalla costa più il fondo si allontana. A meno che non si incontri una risalita rocciosa che venga incontro alle nostre doti di profondisti: la classica secca, insomma, qualche volta formata da pietre sovrapposte, più o meno rialzate dal fondo, qualche volta caratterizzata da un unico monolite, altre volte da più guglie che spuntano dal blu, inquietanti, minacciose sentinelle. Il fascino delle secche al largo è innegabile: comincia con la scelta e il controllo delle attrezzature, con la ricerca, con l’immersione, con le emozioni che rivivono negli anni. Quando non c’erano il Gps o ancor prima il Loran, dovevi cercare sulle carte nautiche le secche segnate e cercare punti cospicui attraverso i quali trovare degli allineamenti. Una bussoletta (i più evoluti ne avevano una a traguardo) suggeriva un’idea sulla rotta da seguire ma spesso si passava molto tempo a fare cerchi in superficie, col motore al minimo, con la testa in acqua, pancia sul tubolare e un compagno che ti teneva le caviglie, a scrutare qualche indizio, mentre morivi dal caldo, dentro la muta. Altre volte la corrente modificava il colore dell’acqua denunciando la presenza della secca, altre volte il chiarore verdazzurro rendeva tutto più facile. Oppure vedevi da lontano una barca, sulla tua rotta, che sembrava essere sul punto, forse no, e allora masticavi insieme supposizioni e parolacce. Ma era comunque raro che ci fosse già qualcuno e quando riuscivi a trovarla libera la secca era tua. Poi c’erano quelle non segnate, i cui punti erano stati carpiti a qualche pescatore, talvolta in cambio di una immersione con le bombole per liberare qualche rete (continua sul giornale).