Spigole, Foci e Minnow

Spigole, Foci e Minnow

Si avvicina, con l’arrivo di novembre, il periodo ottimale per la pesca alla spigola. Le lunghe giornate di sole sono ormai alle spalle e con esse tutte quelle varianti dello spinning che si praticano con il caldo. Le piogge e l’abbassamento della temperatura del mare portano anche a un cambio di target: addio serra, anche se qualche saltuario incontro sarà ancora possibile. Adesso è meglio concentrarci sulla pesca alla spigola, nelle lagune e nelle foci che proprio in questo periodo iniziano a riaprirsi. Si impone anche un “cambio d’armadio”, di assetto di pesca che preveda l’utilizzo di una configurazione più light. E siccome per troppi mesi l’attrezzatura adatta, è rimasta a riposo, urge un veloce pit stop, per essere sicuri che tutto sia pronto per la grande stagione che ci attende. Facciamo mente locale e mettiamo sotto esame tutto il necessario per la pesca al seabass: canna, mulinello, esche. Vediamo se siamo pronti!

Canna per seabass
Frequentando numerosi spot di pesca, un po’ in tutta la Sardegna, mi è spesso capitato di imbattermi in appassionati come me di questa particolare tecnica di spinning. Certo, uno degli aspetti che più mi fa apprezzare la pesca in foce (soprattutto all’alba), è la solitudine. Il silenzio, rotto solo dal rumore delle onde o da quello della corrente, da solo basta per farmi amare questa pesca. E le sagome nere di altri spinner, prima del sorgere del sole, appaiono quasi minacciose. Non sai mai se a pochi passi da te si muova un serial killer o una persona che ama la tranquillità. Buona la seconda! Visto che in questo momento vi scrivo e che sono sempre tornato a casa tutto intero. Solitamente, una volta che sorge il sole e finisce il periodo di massima attività dei pesci, la mattinata si conclude con le classiche due chiacchiere. Ci si confronta, su artificiali, tecniche di recupero, colori delle esche e sezioni dei fili. Ma l’aspetto che salta subito agli occhi è che, in generale, si utilizza lo stesso tipo di canna da pesca. Non mi voglio soffermare sulla babele di classificazioni che, un po’ ogni marchio, introduce per evidenziare le proprietà di un fusto. Due sono le caratteristiche essenziali: lunghezza e capacità di lancio. La lunghezza si deve aggirare sui 2 metri ma non di più e questo perché ci si muove soprattutto a livello del mare e molto spesso circondati da vegetazione. Una canna troppo lunga, in queste condizioni, finirebbe per essere d’ostacolo impedendo di raggiungere tutti gli spot che vogliamo sondare. L’ideale sarebbe poter disporre di un fusto che riesca a lanciare artificiali tra 1/3 e massimo 1 oncia. Questo infatti è l’intervallo di peso delle esche adatte alla pesca alla spigola. Se possibile, meglio usare una monopezzo. Una canna con il fusto in un'unica sezione ha solitamente un costo maggiore e l’ingombro può essere un ostacolo durante gli spostamenti tra i vari spot. Però la canna monopezzo ha il vantaggio di trasmettere i segnali che arrivano dalla punta in modo più sensibile e pronto, consentendo ferrate fulminee e aumentando di molto il piacere della pesca. In più, l’aumentata sensibilità permette di rivelare la conformazione del fondo, la presenza di zone con correnti maggiori, le deboli tocche di pesci pigri. E quando si pesca light, tutti questi fattori sono determinanti.

La spigola caccia nella schiuma prodotta dalle onde nei bassi fondali, aspettando in agguato, ferma in una buca o nascosta dietro una roccia. All’alba, nel torbido, meglio usare un artificiale in grado di produrre vibrazioni con una lunga paletta.

In bobina
La pesca alle spigole per fortuna si pratica con esche che, anche se con comportamenti diversi, si piazzano tutte su un range abbastanza ristretto di grammature. Dico questo perché un problema molto comune fra gli spinner e più volte discusso, è rappresentato dalla difficoltà di pescare senza intoppi quando si è costretti (o invogliati…) a usare artificiali anche molto diversi in lunghezza e stazza. In questi casi, infatti, il filo in bobina è soggetto a diverse trazioni che portano ad un avvolgimento non ottimale. Se non stiamo attenti e concentrati e dimentichiamo di controllare a ogni lancio il buono stato del filo, rischiamo, soprattutto nei lanci successivi al cambio d’assetto, di creare dei fiocchi, anche piccoli. Questi sono spesso quasi invisibili ma, al lancio successivo, si trasformano in fastidiose “parrucche”. Il problema si accentua con vento in faccia e quando passiamo da esche molto pesanti a piccoli “confetti”. Ecco, nella pesca alla spigole questo problema non dovrebbe essere così rilevante. Come anticipato, il range di grammatura utili in questa tecnica è limitato tra i 9 e i 18 grammi. Sempre la grammatura e la stazza media delle catture ci consiglia l’utilizzo in bobina di un buon trecciato. In commercio si trovano ad un prezzo accettabile trecciati x8 (fatti con 8 fili), molto adatti perché morbidi e resistenti. Ad esempio, un 0,13 ha un carico di rottura intorno agli 8 chili, più che sufficiente per i nostri scopi. La morbidezza, unita alla ridotta sezione, aiuta nel lancio di piccoli artificiali, anche quando si utilizzano canne corte e reattive. Come sempre, al trecciato si aggiunge uno spezzone di fluorocarbon. La giunzione si può fare in molti modi: diciamo che un nodo semplice da imparare e veloce da chiudere, anche di notte o con le mani fredde, è il Tony Peña, con il quale si ottiene un nodo allungato e sottile. Questa giunzione è molto resistente e la forma allungata non produce resistenza durante il passaggio attraverso gli anelli della canna, in fase di lancio. A seguire, 80 centimetri di finale in fluorocarbon sono necessari per aumentare il mimetismo dell’esca. Come sezione, molto dipende dalle condizioni del momento. In generale, con acqua non troppo limpida e scarsa probabilità di incagli, uno 0,25 rappresenta un ottimo compromesso tra trasparenza e carico. Ed infine, ecco il moschettone. Viste le dimensioni ridotte delle esche e quindi delle relative asole d’attacco, si possono usare agganci con il corpo sottile, fattore che aumenta la libertà di movimento dell’esca, rendendola più naturale possibile.

Il carrello delle esche
Ne ho messi un paio in più, che faccio, lascio? Direi, anche no! Andare a pesca con un numero esagerato di artificiali non fa bene al portafogli, ma ancor meno alle nostre certezze. È vero, visto che parliamo di esche con dimensioni intorno ai 10 centimetri, nella cassetta possiamo di sicuro alloggiarne tante. Ma questo rischia di creare confusione, facendoci credere che il ritardo nell’arrivo dello sperato strike sia dovuto solo all’esca sbagliata. In alcune situazioni ciò è vero: un modello e solo di un colore, fanno la differenza. Ma quasi sempre gli attacchi avvengono su una tipologia d’esca e non proprio su quell’esca. In più, la pesca alla spigola avviene per lo più in spot con tanta corrente e acqua torbida. Ciò che cerchiamo nell’artificiale è quindi la capacità di attirare l’attenzione del predatore anche con scarse condizioni di luce. Bisogna quindi puntare più che sui colori, sulle vibrazioni. I piccoli minnow, con palette generose, si fanno davvero apprezzare. Volendo eliminare il superfluo, ne bastano 4: tre con ancorette e uno armato di ami singoli, da utilizzare come esca “rifugio” se le probabilità di incaglio dovessero mettere a rischio il nostro arsenale. A questi, aggiungerei un paio di darter, un’esca che personalmente apprezzo molto perché in grado di sondare le fasce d’acqua sotto la superficie e con un muso che muove molta acqua. Non possono mancare alcune gomme, sia “nude” che montate su testina piombata. Queste ultime sono indispensabili quando vogliamo giungere lontano, dove gli altri artificiali con un peso distribuito su tutto il corpo, non possono arrivare. Se proprio vogliamo prenderci il sicuro, concludiamo la nostra proposta con un wtd e un piccolo popper, da usare quando ormai il cielo è rischiarato dal primo sole. Ecco, in tutto una decina o poco più di esche a disposizione. Perché di più sarebbero davvero superflue. Molto più importante è il modo con cui usiamo un’esca. Per questo motivo sarebbe sempre meglio provare, testare le nostre “munizioni” in un ambiente che ci permetta di studiarne e assimilarne i comportamenti in pesca, in modo da capire come e quando quel preciso artificiale diventerà la nostra arma vincente.