Sparidi & Kabura

Tra tutte le tecniche di pesca ricreativa c'è ne una molto divertente, non selettiva ma performante. Ciò nonostante, purtroppo, risulta ancora oggi trascurata. Il suo nome è tai kabura.

Tra le tante tecniche di pesca in verticale la tai kabura è senza dubbio la più trascurata. Addirittura sconosciuta per chi si è appena avvicinato alla pesca. Eppure, alla resa dei conti, dopo un po’ di pratica risulta divertente, per nulla selettiva e capace di catture significative. Ma allora, perché non riscuote il successo che merita? Probabilmente il mercato non ha proposto immediatamente un’adeguata offerta di attrezzatura specifica, come invece è successo, più o meno quindici anni fa, per le altre tecniche, anche affini, targate Sol levante. All’epoca, gli unici artificiali da tai kabura che si potevano trovare erano della famosa Yamashita che inventò un’aggancio rapido in plastica per sostituire le teste piombate ma con grammature non oltre i 150 g. Successivamente anche altre aziende si sono dedicate alla produzione di attrezzature per questa tecnica quindi oggi risulta più facile approvvigionarsi di tutto ciò che serve, anche di grammature un po’ più pesanti, utili nei nostri spot profondi e con forti correnti.

Tecnica - Tai in giapponese significa Spari (come Sparidi), Kabura, invece, è il nome dell’artificiale. Di base l’artificiale ha una forma arrotondata, con dei codini (skirt) periferici di silicone, alcuni lunghi e affusolati, altri sottili e possono essere arricchiti anche con più o meno colorati octopus. Sotto, in entrambi casi, ci sono due assist sfalsati con dynema o cordino classico molto sottile, e a chiudere un piccolo solid ring sul quale con nodo semplice agganciare (grazie a un elastico o un o-ring) i vari “skirt”. In commercio si trovano già pronti oppure da assemblare. Vengono utilizzati in vario modo: con recupero lento e costante, con lunghi movimenti della canna, o addirittura facendoli rimbalzare sul fondo. È una tecnica mirata soprattutto agli sparidi e in generale ai grufolatori, insomma: a tutti i pesci che bazzicano il fondo. Il tai kabura si può praticare a tutte le profondità e, a differenza ad esempio dello slow jigging, pur utilizzando gli artificiali, non necessita della verticale perfetta; questo ci permette performance costanti, anche quando le condizioni sono viziate da onde e vento. Come per tutti gli artificiali, l’esca non andrebbe arricchita con aggiunte naturali ma, non avendo questa un nuoto che va attivato con grandi movimenti, quando vince l’apatia, piccole strisce di calamaro, piccoli moscardini che non appesantiscano il sistema, possono rivelarsi determinanti. In alternativa si possono utilizzare anche strip e octopus di silicone, messi come un’esca sugli ami, sempre cercando di far sì che il tutto si muova in maniera sinuosa. Solitamente il kabura ha una forma arrotondata, con un foro passante che è la chiave di questa tecnica. Infatti, al contrario dell’uso comune, quindi fisso sulla lenza, il kabura dà le migliori performance se utilizzato scorrevole. Il foro esiste per un motivo specifico e cioè quello di far scorrere dentro il filo.

Il parago, anche in maxi formato come questo che sostiene Salvatore Palla, è una delle prede tipiche di questa tecnica.

È nostro compito, avendo cura di tarare la frizione quasi sullo slittamento, far cadere il kabura sul fondo, recuperare in maniera lenta e costante per almeno una ventina di metri, per poi rilasciare liberamente l’esca, magari rimbalzando un paio di volte sul fondo per poi subito riprendere il recupero lento e costante. Cosi facendo, s’imprime vitalità all’artificiale che produce vibrazioni e si sonda una buona superficie, più o meno una quindicina di metri sulla colonna d’acqua Nel momento della tocca o di una buona mangiata, è meglio continuare il recupero, per dare un’energica ferrata quando la canna sarà piegata e sotto sforzo, e contemporaneamente chiudere leggermente la frizione per combattere il pesce. Il sistema del foro passante, la canna studiata ad hoc per questa pratica, e il gioco sinuoso e a rimbalzi dell’esca, sono indispensabili perché la preda non si accorga del peso è abbocchi come un pesce.


 Attrezzatura

  • Mulinello rotante a basso profilo, leggero e compatto con frizione a stella, che abbia una buona capienza e frizione.
  • Canna da kabura con lunghezza non oltre i 7” che gestisca grammature dai 100 fino ai 250 g, con azione morbidissima, estremamente parabolica, ma che legga bene le mangiate e il recupero dell’esca.
  • Trecciato sottile partendo dal pe 1 arrivando all’1,5, meglio un buon 8 o 9 fili multicolor.
  • Fluorocarbon dal 20 lb fino a 35.
  • Svariati kabura di forme e colori differenti
  • Piccoli octopus, terminali diversi e vari shent e skirt attrattivi con livree differenti.

Fondali e specie

La pesca col kabura si può praticare a tutte le quote partendo dai dai 50 m per avvicinarsi ai 150, su tre differenti substrati: pietre e posidonia (tanuta, occhione, cappone); vicino o sopra la sabbia (pagello e sparidi - assetto super sottile con pe 1-1,2, terminali da 20-25 lb e kabura da 80 fino a 120 g; ami medio piccoli); fango nelle cigliate profonde (parago, dentice, cernia - pe 1,5, fluorocarbon fino a 35 lb e assist un pochino più grossi; pesi superiori, di norma 150-250g).