Sottocosta

Sottocosta

Il Mare Nostrum è popolato fondamentalmente da 2 ti-pi di leccia, ma noi focalizeremo la nostra attenzio- ne sulla specie più grande, sportiva e divertente, la leccia propriamente det-ta, scientificamente Lichia amia. Fa parte della famiglia dei carangidi; è un pesce pelagico con abitudini gregarie. Ha un corpo slanciato e molto compresso lateralmente con una linea late- rale pronunciata su ambedue i fianchi e sinuosa. La colorazione è argentea con sfumature verde plumbeo sul dorso. Le pinne sono scure e posizionate così: l’anteriore dorsale è molto alta accompagna da corte e robuste spine; le pettorali e le ventrali sono limitate e tozze, mentre la caudale è allungata e biforcuta. È un pesce ricercato dai pescatori sportivi, soprattutto per la gran-de combattività. Non è raro allamare esemplari di oltre 30 chilogrammi. Sotto l’aspetto culinario è bene sapere che le carni sono bianche, compatte e veramente gustose. Una precisazione: in diverse regioni d’Italia, data la netta somiglianza, la leccia viene erroneamente chiamata ricciola, e la ricciola leccia… Questo fatto ha confuso il popolo alieutico, ma, per fare chiarezza, basta osservare che la leccia a differenza della ricciola è molto compressa lateralmente, con la linea laterale, come già detto, sinuosa. Inoltre per il palato dei pescatori presenta caratteristiche organolettiche diverse. Viene pescata per lo più nel sottocosta su fon- dali sabbiosi, in prossimità di sbocchi di acqua dolce. Durante il combattimento, a differenza della ricciola, compie fughe velocissime a pelo d’acqua, dove spesso fa incredibili e spettacolari guizzi. Combattiva, vigorosa, affascinante, è una delle prede sportive per eccellenza sempre se insidiata con metodi in light tackle.


Azione di pesca
La tecnica è semplice e non ha bisogno di mezzi straordinari. I mega yacht sicuramente non servono; un gozzo, una lancia, un battello pneumatico sono gli scafi ideali per trainare. Chiunque, con un po’ d’inventiva e tanta convinzione ha l’occasione, prima o poi, di ferrare il pesce della vita. A poche centinaia di metri dalla battigia, specialmente alle prime luci dell’alba, capita spesso di avvistare le grandi leccie in caccia e quindi sarà proprio lì, il punto di partenza della nostra giornata di traina. Poi, appena la temperatura inizia a salire e la luce si fa più intensa, ci sposteremo subatimetriche più impegna- tive. Un elemento che fa la differenza è sicuramente l’esca che dovrà essere assolutamente viva. Dopo aver innescato il sugarello, o il muggine, o chi per esso, su un classico terminale a 2 ami, si fila in mare circa venti metri di lenza; a questo punto, per zavorrare, utilizziamo un piombo a sgancio rapido da circa 200 grammi. Per quanto riguarda la seconda canna va bene lo stesso sistema ma impiegando un piombo da 100 grammi, così da far lavorare le esche a profondità diverse. In caso di calma piatta, può essere utile armare centralmente una terza canna filata a circa 50 metri dalla poppa e lasciata lavorare a pelo d’acqua. In questo modo, a una velocità di circa un nodo e mezzo, le esche, salvo improvvide manovre, difficilmente potranno intrecciarsi. In caso di percorsi su più livelli è importante consultare lo scandaglio, senza soluzione di continuità. Infatti, solo in questo modo, per non incagliare ad ogni sollevamento del fondo, saremo pronti e veloci nel richiamare qualche metro di lenza per poi rilasciare il recuperato in corrispondenza di batimetriche meno preoccupanti. Oltre ai pesci che il sonar ci può segnalare, bisogna indirizzare la prua verso l’orizzonte alla ricerca del punto ideale di pesca. Una berta, un gabbiano che svolazza, uno schizzo, una mangianza, una pinna nella corrente, una bollata sono indizi inconfutabili della presenza di predatori in caccia. Avendo le esche nelle vicinanze della poppa e canne con un’azione morbida e parabolica, spesso si riesce a percepire in diretta le fasi dello strike. Al primo accenno di mangiata occorre mantenere i nervi saldi perché a volte la semplice vibrazione della vetta potrebbe essere anche l’esca che cerca di sfuggire all’attacco. Il segreto è uno solo: ferrare  quando si sente cantare il cicalino del nostro rotante con decisa continuità. Ricordiamoci di regolare la frizione quasi al limite dello slittamento in modo di non creare nessuna resistenza tra la preda e la canna. Può capitare, avendo a che fare con pesci pelagici con istinto gregario, di avere delle abboccate in contemporanea che sicuramente alimentano il panico a bordo. Ma ora torniamo alla realtà e vediamo le fasi del combattimen- to. Dopo una vigorosa ferrata, aiutandosi con una pressione delle dita sulla bobina, il pesce, che spesso è di mole discreta, parte a più non posso rendendo impossibile il recupero. Una fuga, potente, intensa e soprattutto infinita. Ecco che a questo punto entra in campo la sportività. La leccia compie durante la fuga evoluzioni incredibili, cambi velocissimi di direzione e quan-do corre sul pelo della superficie fa del-le spettacolari acrobazie. Veramente un gran lottatore se  affrontato con materiali leggeri e sportivi non soltanto per la nostra gioia di pescatori ma anche per dare quella chance in più a questo famelico e divertente predatore.