Anche se non si frequentano le gare di surfcasting e la pesca è una semplice passione, avere un approccio più agonistico porta notevoli vantaggi. E poi siamo sempre in gara con noi stessi.
Quando l'uscita a pesca si è conclusa con successo, viene naturale memorizzare tutto quello che si è fatto per sfruttare il nuovo bagaglio di conoscenze in uscite successive. La stessa cosa non succede quando la pescata è stata infruttuosa, quasi si volesse cancellare dalla mente la brutta esperienza. Al più, si pone la proverbiale pietra sopra sullo spot incriminato e si giura che mai ci si metterà piede di nuovo (giuramento clamorosamente infranto in poco tempo, visto che la memoria, quando si parla di pesca, in un attimo rimuove il "trauma"). Ora però, in questo modo si rischia di costruire un database incompleto delle esperienze di pesca perché si tiene conto solo dei successi e non dei fallimenti. Senza stare lì a scomodare l'ormai stracitato modello di Wald e la sua teoria del rinforzo selettivo che permise, durante la seconda guerra mondiale, di rendere gli aerei alleati più sicuri, l'analisi di ciò che non si vede in modo evidente, considerando ogni piccolo particolare, nella pesca è molto utile.
Ma molti praticanti pensano che la cura di particolari, piccoli e all'apparenza insignificanti, sia una pratica "da agonisti", dando al termine agonista un'accezione negativa. "Gli agonisti sono abituati ai pescetti. Mica è surfcasting il loro, è solo paf (pesca a fondo)". E ancora: "Io non faccio gare, ma pesco il doppio di loro" (senza che nessuno possa verificare la veridicità dell’affermazione). In realtà i due aspetti del surfcasting, quello puramente ricreativo e quello sportivo, sono molto più uniti di quanto si possa immaginare.

Chi ha paura delle gare? - Partecipare alle gare e fare parte di un circolo di pesca è sicuramente consigliabile. Non è sempre possibile poiché il lavoro, lo studio i tanti impegni quotidiani e gli affetti limitano notevolmente il tempo che si può dedicare alla pesca. Ma l’appartenenza a una società aumenta le possibilità di confronto con altri pescatori. Partecipare alle manifestazioni “costringe” il pigro surfcaster ricreativo, per lo più stanziale e abituato a uscite in una manciata di spot al massimo, a conoscere nuove spiagge, in condizioni sempre diverse e a piantare i picchetti di fianco a quelli di pescatori ogni volta diversi. Alcune volte basterà l’esperienza maturata per ottenere dei risultati. Ma comunque ci si accorgerà che dal confronto con gli altri emerge una crescita individuale che riguarda tutti gli aspetti del surfcasting. È in gara che si impara a lanciare dritto, altrimenti si rischia di ammazzare qualcuno.

È in gara che il ventaglio e la conoscenza delle esche utilizzabili aumenta e migliora la tecnica di preparazione degli inganni. È in gara che si impara a sfruttare lo spazio e il tempo a disposizione nel modo più efficace. C’è poi un ultimo aspetto che per molti è veramente difficile da accettare: la classifica. Certo, a nessuno fa piacere vedere il proprio nome seguito da un numero enorme di penalità; o constatare che il pescatore che per ore è stato di fianco a te ha pescato il doppio o il triplo. Ma la classifica è fatta di numeri che danno una risposta inequivocabile. Il bravo pescatore di fronte a un risultato poco appagante cerca e spesso trova il modo di porre rimedio. Si dice spesso che la sfida, prima di tutto, è con noi stessi. È vero, verissimo. Vediamo quindi come affrontare un’uscita a pesca ricreativa con spirito agonistico.

Spazio e tempo - Immaginiamo di aver scelto uno spot nuovo perché c’è stato consigliato da altri pescatori e perché ricco di grufolatori e di predatori come spigole e serra. Osservata la spiaggia e individuato un punto interessante, quante canne conviene piazzare? Detto che in ogni regione la legge pone un limite al numero massimo di attrezzi in pesca (ad esempio in Sardegna è 5), conviene creare una postazione funzionale, con tutto vicino. Sembrerebbe ovvio piazzare il massimo delle canne per ottenere il massimo dei risultati. Non è così. Troppe canne in pesca rischiano di confonderci le idee sulle risposte che arrivano dal mare. E se mettiamo centinaia di metri tra noi e i picchetti, sarà scomodo, se non quasi impossibile, controllare con tempismo l’assetto di ogni canna lanciata.

L’agonista queste cose le sa bene, le impara a sue spese nelle competizioni. Una postazione funzionale ha la serbidora al centro. Su questa avviene il 90% della vita a pesca. Sulla serbidora si preparano le esche, si legano ami e nuovi calamenti. Alle spalle di questa si può piazzare uno stendi travi, ma la scelta è opzionale anche se avere qualche trave pronto riduce di molto i tempi morti. Due canne si lanciano di fronte alla serbidora e si appoggiano o su due picchetti o su un tripode. Una terza canna si dispone in un punto più defilato rispetto la postazione. Il cassone appena dietro la serbidora, il vestiario necessario e una sedia comoda e leggera, completano l’attrezzatura.



Per aumentare le catture bisogna ottimizzare tempo e spazio. Infatti non a caso le due canne di fronte alla serbidora sono dedicate alla ricerca di grufolatori e pesci che nuotano in branco. Il loro controllo deve avvenire almeno ogni 15 minuti e se si piazzassero queste canne molto lontane le une dalle altre sarebbe più il tempo trascorso negli spostamenti tra picchetti che quello effettivo di pesca. La lontananza della terza canna dalla postazione è giustificata dal fatto che in questa si testano inganni selettivi come un pesce vivo, utile nella ricerca della spigola, o un semplice trancio, in presenza dei famelici serra. Non stiamo quindi parlando di un utilizzo di materiali di alta gamma, lenze sottilissime e un numero enorme di esche costose e quindi di una fase successiva da intraprendere se si ha più tempo da dedicare alla pesca. L’approccio agonistico applicato a una semplice uscita ricreativa significa ottimizzare le proprie capacità e soprattutto il tempo e lo spazio a disposizione. I miglioramenti saranno rapidi e la vittoria arriverà di sicuro, almeno con noi stessi.

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