Pacato, serio, riservato. Incarna lo stile che richiede il suo ruolo professionale. Arriva alla pescasub coi suoi tempi e si scopre presto un campione che a quasi 50 anni ha ancora molto da dire.
Nasce a Pagani, un piccolo comune in provincia di Salerno, ai piedi di quei rilievi montuosi che si spingono a mare fino alla penisola sorrentina. In mezz’ora arriva al mare e, seguendo la passione del padre, pesca con la bolognese o all’inglese nei porti. Trascorre lì la giovinezza, finché nel 1996, a 20 anni si trasferisce a Gallipoli per imbarcarsi in una motovedetta della Guardia di Finanza. Luigi, un collega, lo introduce al mondo subacqueo e gli insegna i rudimenti del razzolo nelle Secche di Ugento, un’area piuttosto estesa di basso fondo a sud di Torre San Giovanni nello Ionio sudorientale, ricca di grotto, tane e pesce bianco. Allora pescava ancora con le pinne corte, in plastica e un fuciletto a elastico da 50. Sparava in tana, saraghi, tordi, scorfani e qualche corvina.
Quando hai iniziato con le gare? Nel 2008, più o meno, mi associai al Barracuda Equipe Sub Taranto e mi iscrissi al corso di pesca in apnea perché richiesto dalla Fipsas per avere accesso al circuito agonistico. Dopodiché iniziai con le selettive, i primi due anni senza successo. Mi qualificai la prima volta per gli italiani di seconda nel 2012. La gara si svolse a Mola di Bari e fu vinta da Angelo Ascione. Io mi piazzai decimo, quindi col pass per il successivo campionato assoluto che si svolse in Sicilia a Terrasini. Rimasi in prima per un pelo, ma l’anno successivo arrivai quinto, a Muravera. Vinse il grande Bruno De Silvestri, seguito da Stefano Claut, Concetto Felice, Gianfranco Loi. Dopo di me Luigi Puretti, Dario Maccioni, Angelo Ascione, Salvatore Roccaforte e a chiudere la decina, Cristian Corrias. Una serie di atleti d’incredibile livello, senza alcun outsider in mezzo. Diventai un assiduo frequentatore dell’assoluto e quando, per sbaglio, mi sono distratto, sono stato ripescato e reintegrato nelle file della prima categoria.

Nel 2017, a Torre San Giovanni salii sul podio, sul gradino più alto. Fu una campionato speciale. Mentre i colleghi prepararono la gara a terra o giù di lì, io mi spinsi più a fondo, tra i 30 e i 40 metri. Trovai belle tane con tante corvine e saraghi che mi diedero un bel vantaggio. La seconda manche fu di mantenimento, a scorrere nel grotto, verso sud, e poi la medaglia d’oro. Fui l’unico a chiudere 2 specie, appunto sarago e corvina. Esordii quindi in nazionale, spalla di Stefano Claut, al Campionato Euroafricano in Croazia a Lussino. Vinse quel gran pescatore, croato, Daniel Gospic. Stefano arrivò quarto mentre Giacomo De Mola terzo e per chiuderla, tredicesimo, Dario Maccioni. Oggi, è appena finito il Campionato italiano di Gallipoli, in cui sono arrivato secondo, col rammarico di non aver potuto tentare, una seppur difficile rimonta nella seconda giornata, annullata per maltempo, continuo la mia permanenza nella massima serie, nella speranza di un riscatto alla prossima competizione.




Gare a parte, qual è la tecnica che preferisci? Beh, a me piace l’agguato e l’aspetto ma, soprattutto d’estate, pesco più fondo per la cernia.
Hai un riferimento? Ho sempre ammirato Mazzarri e Carbonel, ma anche Gostic
Il tuo record? Intendi il pesce più grosso? Nel 2021 a Gallipoli pescai una ricciola di 40 chili. Era una bellissima giornata con mare calmo e buona visibilità. Io e un mio amico partimmo dalla darsena per dirigerci verso nord a circa ½ miglio. Il fondo era sabbia, fino ai 30 metri, poi roccia e posidonia. L’intento era quello di catturare pesce bianco, quindi mi immergo con un 75 a elastico. Non si vedeva un pesce mentre, in planata scrutando anche di lato, vidi un pesce che mi puntava, appunto una enorme ricciola. Non ce l’avrei fatta con quell’arma, quindi risalii in superficie, mi consultai col barcaiolo e poi di nuovo giù con un 110. Dopo due minuti di aspetto la bestia si rifece viva e con modi troppo confidenziali. Sparai e la presi sul muso, quasi fulminata. Prese 5 metri di filo e poi si fece accompagnare a galla per qualche foto. Soddisfatti, rientrammo avvisando parenti e amici per la prossima tavolata.

Il tuo pesce preferito? Mi diverte moltissimo il dentice. Mi diverte e m’impegna, perché è mobile, mai scontato. Insomma è una preda che ti devi guadagnare anche se sei bravo. E poi è buono. Ottimo.
Quello che ti ha fatto dannare? Certamente una cernia. Era inverno, marzo se non ricordo male, e vestivo una muta da 9 millimetri. Sparai la cernia che girava fuori dalla tana, a circa 40 metri di profondità, ma questa riuscì a ripararsi dentro. Per stanarla dovetti fare una decina di tuffi in oltre un’ora di tempo. Una faticaccia però, alla fine… 26 chili!
Un aneddoto? Nel 2013, un campionato italiano a coppie a Taranto, vinto da Puretti e Toma. Era pieno di salpe, anche imbrancate, grosse, 7-8 etti. Ero in mezzo a questa nuvola di pesci col mio 90 e mentre ne stavo sparando una, vidi una ricciola, mi veniva di fronte. Aspettai un attimo che virasse a mostrarmi un po’ il fianco, poi sparai. Non la fulminai. Iniziò a vibrare quasi impazzita. Cercai di portarla in superficie bloccandola ma mi accorsi che l’arpione non l’aveva passata. Probabilmente avevo leso la spina, ma era ancora ben viva. Cercai allora di spingere l’asta per fargli completare la corsa ma non ce la feci. Arrivato in superficie passai il fucile al mio amico e riprovai a spingere l’asta, ma il ricciolone diede una forte scodata e se ne andò. Il mio amico rimse col fucile in mano, e io con l’asta. Addio pesce e addio gara.



Il tuo posto preferito? Ormai le gare si disputano tutte al sud, fondamentalmente in Puglia, Sicilia e Sardegna. Direi che quest’ultima isola ha l’acqua più pulita e i fondali più belli. Il granito è affascinante e i pesci non mancano.
Visto che abbiamo concluso con la Sardegna abbiamo chiesto un aneddoto a Cristian Corrias, uno che si spaccia per amico di Rocco, col quale avrebbe condiviso più di un’avventura.
“Siamo diventati amici in occasione del Campionato italiano di prima vinto da Dario Maccioni a Marzamemi nel 2015. Arrivai su un punto, anche se era occupato da un gommone. Era Rocco che stava riposando tra un tuffo e l’altro. Mentre mi accingevo a andar giù mi fa: “È inutile che ci provi ho già raschiato tutto io.”. Quel sorriso, però, non sapevo come interpretarlo e quindi mi tuffo: aveva dimenticato due saraghi. Da quel momento abbiamo legato. Ma c’è un altro episodio che vale la pena raccontare. Era il 2018. Campionato mondiale in Portogallo. Stavamo navigando col mare di poppa e onde oceaniche. Distratti dalle ipotetiche strategie che esponevamo a turno e dalle immagini dell’ecoscandaglio, non ci accorgiamo che una di quelle “forme in movimento”, così le definiva Willard Bascom nel suo Onde e Spiagge, ci stava per sommergere. D’incanto ci troviamo in mezzo a una cascata, col sedere sul pagliolato, stretto stretto. Per fortuna non ci sono state conseguenze se non quella di aver ancor più legato la nostra amicizia.
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