Rocce & Opportunità

Rocce & Opportunità

Eravamo partiti da casa con le idee poco chiare. Nessuna conoscenza delle condizioni meteo, nessun interesse per la fase lunare e la marea, nessuna certezza sullo spot da affrontare. Eravamo, il mio compagno di pesca Marco ed io, semplicemente ansiosi di andare a pesca; una voglia matta che ti prende e ti porta in spiaggia anche quando un’analisi più accurata delle condizioni meteo marine consiglierebbe di restare a casa. Avevamo la stessa voglia che, in questi mesi di emergenza globale, credo tutto il popolo del surf casting provi; confinati tra quattro mura, sognando qualche lancio in libertà. Quindi questo racconto descrive un’uscita passata, avvenuta tanti mesi fa, ma allo stesso tempo è un viaggio nel futuro, quando finalmente potremo andare a pesca e, ne sono certo, soprattutto all’inizio, staremo in spiaggia per il gusto di farlo, senza troppe aspettative. Quel pomeriggio ci dirigemmo verso le spiagge del comprensorio di Pula, un po’ perché questa costa non dista troppo da Cagliari, un po’ perché alcuni di questi spot li conosciamo poco, frequentazioni sporadiche e stagionali che quindi necessitano di essere approfondite, per capirne le potenzialità in tutte le condizioni. Insomma, un’uscita studio per aumentare il nostro bagaglio di esperienza; un bagaglio mai pronto, sempre da rinnovare ad ogni uscita. In macchina Marco ha un’illuminazione. In inverno avevamo pescato col vivo e con ottimi risultati nella spiaggia di Nora, quella ad un passo dalla chiesa di Sant’Efisio. Ci eravamo ripromessi di tornare, ma non proprio a Nora, bensì spostandoci un po’ più a settentrione (a sinistra guardando il mare) dove continua una sottile lingua di sabbia che prende il nome di Spiaggia dei Fichi, nella parte centrale e Su Gunventeddu, verso le scogliere. Po-che centinaia di metri caratterizzati da un fondo misto, con sabbia bianca, depositi di posidonia trasportata dalle mareggiate e, a tratti, lastroni di roccia sommersi. La decisione era presa, ajò a Su Gunventeddu!

Marco Anedda con due mormore pescate anche grazie a un piombo "con le ali".
 

Piombo con le ali
È il classico spot da raggiungere quando ancora c’è luce e in queste pagine è un ottimo esempio per descrivere una battuta di pesca “nel misto”. Verso il promontorio che protegge Su Gunventeddu dai venti orientali, in mare “corre” un lungo lastrone di roccia sommersa. Dove terminano le rocce è possibile lanciare lontano, anche se la finestra di mare libero ha un’ampiezza di appena 40 metri. Più in là ecco altre rocce isolate, sparse e per questo ancor più insidiose. Con Marco decidemmo di sondare sia la parte “libera” che i settori in prossimità degli scogli sommersi. Sapevamo che i punti più interessanti erano quelli vicino alle rocce, abitualmente più popolati dai pesci perché ricchi di tane; obiettivi insidiosi, poiché un lancio sbagliato ci avrebbe portato sopra la pietra dura e ruvida, rischiando di perdere tante, preziose, parature. Il lungo lastrone di roccia, invisibile da riva perché sommerso, disposto parallelo alla riva e distante da questa una trentina di metri, sembrava uno sbarramento invalicabile. Infatti, anche se si poteva oltrepassare facilmente col lancio, appariva impossibile da scavalcare nel recupero. Marco però estrasse dal suo cassone l’arma giusta per questa sfida: un piombo particolare, l’Anaconda, una zavorra con due alette che gli permettono di sollevarsi dal fondo in fase di recupero; in più questo piombo non ha la classica asola metallica d’attacco al trave ma è dotato di una lunga astina in plastica che permette al piombo di sollevarsi dal fondo più velocemente e più in superficie. Marco fissò l’Anaconda a un trave mono amo in fluorocarbon dello 0,30 e bracciolo, sempre in FC, dello 0,16 e lungo 180 centimetri. Come esca un cannolicchio sgusciato e fissato con qualche giro di filo elastico. Il lancio portò l’esca appena oltre le rocce, perfetto. La prima canna era in acqua. Lanciammo in rapida successione altri inganni, questa volta di fianco alle formazioni rocciose e sopra o di fianco ad alcune macchie di alghe depositate sul fondo. Sia Marco che io utilizziamo in questi casi dei travi che minimizzando gli incagli. Sono parature in configurazione ad amo singolo o a due ami. Nel primo caso il finale è più lungo e comunque l’amo, una volta che il bracciolo è disteso, dista dal piombo almeno mezzo metro; nel secondo, i due braccioli sono più corti e anch’essi alti in modo che l’amo basso non si incastri accidentalmente. La sezione del bracciolo deve essere abbastanza sottile da far sì che, in caso di blocco, forzando la canna, si tagli per primo il bracciolo, preservando l’integrità del resto della paratura. Discorso diverso quando si ha a che fare con la posidonia. In questo caso si azzarda una configurazione totalmente diversa: canna potente, perchè ci serve robustezza aggiuntiva, in bobina lenza dello 0,25 e trave con braccioli corti e più spessi (diciamo intorno allo 0,22 o appena oltre). Se l’amo si incastra sulla posidonia lo si può liberare abbastanza facilmente a strappo e quasi mai la lenza cede alla resistenza della pianta acquatica. Sui depositi di alghe o posidonia strappata si insidiano per lo più saraghi e sparlotte. Le prime catture arrivarono proprio tra il verde della posidonia. Era ancora luce e alcuni saraghetti iniziarono a piegare i cimini, facendo aumentare la nostra attività. Poi finalmente la canna lanciata oltre il lastrone catturò la nostra attenzione. “Lenza in bando!”, un urlo simile a “Soffia, laggiù soffia!” di Moby Dick. Marco, ricordando l’ostacolo da superare, imbracciò la canna facendo attenzione che la punta rimanesse sempre bella alta e recuperando senza mai smettere di avvolgere lenza per permettere al trave, alla preda e al piombo, di superare senza difficoltà lo sbarramento di pietra. L’azione di pesca si dimostrò esemplare con una grossa mormora come ricompensa. Sorrisi, grandi sorrisi. Un’uscita senza troppe velleità, trasformata in un successo dalla convinzione di aver trovato la giusta soluzione, il piombo con le ali, alla dif- ficoltà del giorno, le rocce. Piccole, piccolissime soddisfazioni che rendono la pesca un’attività irrinunciabile, primaria.