Riccardo Sanna

A Riccardo piace l’aspetto e i dentici, soprattutto i dentici,  anche se per pescarli è necessario andare un po’ giù. Del resto è uno sportivo, un personal trainer. Insomma ha il fisico e se lo può permettere.

Un magnifico pesce per una magnifica e meritata copertina. Sotto: gli eventi che l'hanno proiettato verso questo inaspettato traguardo.

Se ce l‘hai nel sangue, spesso ce l’hai in casa. E Riccardo a casa, a Sassari, aveva il babbo, appassionato pescasub e amico e compagno di battute di due pilastri della subacquea isolana come Antonio Demontis e Mario Lissia. Il suo percorso sott’acqua era dunque segnato e facilitato per quella proprietà alle Tonnare di Stintino, frequentata regolarmente d’estate, col mare a un passo. Insomma Riccardo sarebbe diventato un pescatore in apnea. E così è stato. Dai primi tentativi alla Pelosa, con la forchetta, per infilzare le sogliole incuriosite dalla sabbia smossa dall’ancora del gommone, al polpo catturato con le mani a appena 11 anni. Il mare era diventato la sua casa, la sua palestra, la sua passione. Gli anni a seguire riempiono la sua curiosità, la voglia d’imparare, sempre con l’esperto esempio del babbo, ma anche di Antonio e Mario.

Quando ti sei emancipato? Antonio mi ha dato il la, il giorno che mi ha invitato a sparare. Impugnavo un Viper 45 e vestivo un mutino foderato Technisub da 3 mm. C’era un bel movimento in mare tra saraghi e corvine. Ero un po’ emozionato e impacciato. Mi sono accontentato di un verdone.

E poi? Poi, su indicazione di mio padre mi sono iscritto alla “scuola” di Tino Carta per un corso Fipsas di apnea fino a 20 m, e poco dopo a quello successivo fino a 25.

Primo pesce importante? Con la maggior età, alla Pelosa, d’inverno. C’era una scaduta di libeccio. Esco a pinne con lo Sporasub One Air 120. Arrivato ai sette metri di profondità e al secondo tuffo, faccio un agguato in un canalone con tanta mangianza e un banco di barracuda davanti. Dalla mia destra si avvicina un pesce, un dentice. Non avevo ipotizzato uno sviluppo preciso dell’azione ma a un certo punto, pur con qualche insicurezza sparo e per fortuna non sbaglio. Il dentice fugge e s’intana sulle pietre a 14 metri. Decido per una nuova discesa, così, a pieni polmoni e senza troppa fatica, libero il pesce che si era incastrato. Primo pesce grosso e primo dentice. Pesava 6 chili, almeno prima che mio padre lo infilasse al cartoccio, in un forno a legna con tante patate. Da qui è iniziata la mia fissa per il dentice.

Riccardo col dentice di 8 chili pescato a tra l’Argentiera e Porto Ferro.

Quindi, il più grosso? Il più grosso, fino a oggi, è quello di 8 chili, allo scoglio cagato, cosiddetto per il guano che lo ricopre e lo rende riconoscibile. Si trova tra l’Argentiera e Porto Ferro, in quella costa della Nurra che guarda a SW. Era estate, con Mario Puggioni e Alberto Testori. Usciamo in gommone, all’alba, da Porto Palmas. Navighiamo una mezz’oretta verso SW fino a doppiare Capo dell’Argentiera e poi ancora verso sud. Allo stop ci fiondiamo tutti, in un’acqua abbastanza torbida. Io, col mio Omer carbon 90 a elastico, mi stacco un po’ dalla costa e tento un aspetto sotto una tettoia, circondato da occhiate, a circa 10 metri di profondità. A un certo punto queste si appiattiscono mentre compare, davanti, il testone di un dentice, incuriosito, che si avvicina pericolosamente. Arrivato a tiro vira mostrandomi il fianco. Sparo senza esitazione. Un bel colpo che gli spezza la schiena ma che non trapassa il corpo. L’asta si sfila e il pesce si libera, ma rimane a mezz’acqua, mosso dall’inerzia. Naturalmente lo inseguo e lo afferro per le branchie, senza fatica. Lo accompagno in gommone e con lui attendo soddisfatto che i compagni finiscano di commentare la grandezza del dentice e infine la loro pescata.

Agonismo? A me non piace la pesca in tana, quindi l’agonismo non mi entusiasma. Così come non mi entusiasma il pesce bianco o la pesca in acqua bassa. Per me andare sott’acqua è rilassante, ho bisogno di tranquillità. Sono un hands free e l’aspetto è una tecnica che mi si cuce addosso.

Avventure strane? Era aprile, a Stintino, Capo Falcone. Eravamo tre amici, tutti aspettisti. Contrariamente alle previsioni si alza il libeccio. Decidiamo di lasciar perdere e rientrare ma il gommone di partire non ne vuole sentire. Rischiavamo di finire in Corsica, ma in quell’area non c’era copertura telefonica. Mario si propone per andare a cercare soccorsi a terra, col telefono protetto da una busta impermeabile. Ma la costa è aspra. Lo scisto è tagliente. I ricci appuntiti. Inoltre la costa è a strapiombo. Arrivate le 15:00, Lello finalmente trova il segnale e chiama soccorso. Risponde Antonio Demontis che si trova a ridosso dell’isola Piana e in pochi minuti ci raggiunge. Poi un’ora di navigazione al traino fino al Porto vecchio.

Il tuo mito? Se intendi un personaggio a cui mi sono ispirato… Diciamo che sono cresciuto con i video del matto: Pierfrancesco Salvatori, il fortissimo pescasub toscano, di Forte dei Marmi.

La pescata più fonda? Mah, in teoria posso spingermi fino a 44 metri ma in genere mi trattengo. Conosco i rischi e voglio evitarli. Comunque… Una mattina con Federico Giudice scandagliamo una nuova zona fuori del Bagaglino. Federico trova col SideScan, la funzione Lowrance di vista laterale, una bella pietra su un fondale che da 44 risale a 40 metri, con tante marcature. Mi propone di fare il primo tuffo, consapevole delle mie performance, ma senza darmi altre specifiche sullo spot. Arrivo sul fondo e trovo un banco di corvine molto grosse. Allineo il tiro sulle due più grosse e faccio la coppiola, un chilo e mezzo e un chilo e sette.

Risalito in superficie non penso ai pesci ma a respirare e nel dubbio chiedo a Federico: ma quanti metri ci sono? 44, risponde lui, sorridendo.

A proposito di fondo... Con Antonio siamo stati più volte a Scoglietti, sul versante occidentale della penisola di Stintino. In un punto, sui 25 metri, si apre nella roccia un taglio verticale ricco di corvine, che per mia incapacità non riuscivo a sparare perché alla mia vista, s’inabissavano. Questa estate Giacomo Cubeddu mi invita a visitare uno spacco che lui definisce interessante. Arrivati sul posto, m’immergo e riconosco il taglio delle corvine. Stavolta però sono preparato, con le caratteristiche da profondista che ai tempi di Antonio, ancora non avevo. Con lo stesso fucile di allora, un Viper 45, arrivo in basso e prendo la più grossa.

Riccardo con il corvinone sparato sul fondo del taglio di Scoglietti con Jack Cubeddu.

Un inconveniente? Sì, una volta con Giacomo. Pescavamo in tre a staffetta. A un certo punto il terzo si era perso. Due ore intere alla ricerca e quando le speranze di ritrovarlo erano al lumicino, ce lo vediamo avvicinarsi col gommone che in un certo momento, per distrazione, aveva scambiato per il nostro. 

Il pesce più grosso? Questa estate, a agosto. Ero a Vignola, ospite di un amico, Paolo Diana. Una mattina usciamo in gommone con un tempo stupendo ma acqua torbida. L’inizio è alquanto deludente. Non si vedeva pesce e prede zero. Decidiamo quindi di spostarci per esplorare un’altra zona. Nell’eco Paolo scopre un bel gradino con tanta mangianza. La posta era impegnativa, quindi preparo il tuffo alla perfezione. Sul fondo a 35 metri mi ritrovo in una prateria di posidonia con un’area circoscritta più chiara, un misto tra sabbia e roccia. Perlustro infruttuosamente ma, come mi stacco dal fondo, vedo una grossa cernia che si muove allontanandosi dalle alghe e dirigendosi verso una caduta a 38 m dove presumibilmente c’era la sua tana. Impugno il 100 oleopneumatico e con una buona riserva d’aria, decido di fare un agguato in caduta, nella speranza di trovarla in candela all’apertura della tana. Ma così non è stato. Risalgo in superficie e racconto l’accaduto al mio compagno. Quindi lo invito a scendere e fare sua la cernia. Ma non la trova. Tra me e me penso: “non è possibile che sparisca.”. Faccio un altro tuffo nella speranza di fregarla con un agguato e all’ingresso della tana, la trovo dritta, con la testa verso l’alto, nella tipica posizione a candela. Sparo e la fulmino. L’ho portata su stringendola al petto. Pesava 22 chili. 

La grossa cernia di 22 chili pescata l’estate scorsa a Vignola su un fondo di 38 m.