Orate Schiuma e Saraghi

Orate Schiuma e Saraghi

di Federico Melis

Sono finalmente alle nostre spalle i lunghi mesi d’attesa. La stagione delle onde, del forte vento e della pioggia è arrivata. Orate e saraghi tornano ad animare le notti di surfcasting.

In un’ideale classifica di gradimento, orate e saraghi, pescati nella schiuma, vincono a mani basse. È forse, tra tutte le varianti della pesca tra le onde, il vero manifesto del surfcasting. Canne e tecnica di lancio, parature, esche, recupero… tutto è portato al limite, reso ancora più arduo dalle condizioni meteo ideali e cioè… burrasca! Le orate sono pesci stupendi, astuti e resistenti; in più, una volta catturati, sono buonissimi, così diversi da quelli scialbi d’allevamento. Gli esemplari più grossi possono superare i 5 chili e quindi sono un trofeo ambito, da ostentare sui social o, più semplicemente, da ringraziare per le grandi emozioni che riescono a regalare. I saraghi nuotano nella forte corrente e si cibano anche quando noi, da riva, reputiamo che il mare sia troppo agitato per permettere una qualsiasi attività. Sono quindi una cattura che mostra le nostre abilità, se costretti a pescare in situazioni oltre il limite. Ecco perché in tanti aspettiamo la stagione fredda, per lanciare... il guanto di sfida a pesci così belli, mettendo in pratica teorie sviluppate nella lunga, lunghissima estate isolana.

Il vento frontale è fastidioso e limita la gittata nel lancio, ma possiamo stare tranquilli che se troviamo uno spot libero dalle alghe, così rimarrà, almeno fino a quando il vento non cambia direzione.

La ricerca dello spot
Ogni battuta di pesca inizia con uno sguardo al meteo. Le poche finestre di bassa pressione dell’autunno ormai agli sgoccioli hanno dimostrato che è proprio questa la condizione più favorevole. I grossi carnieri hanno coinciso con scadute di venti occidentali e pioggia a dirotto. Detto questo, più che lo spot giusto bisogna azzeccare il timing, la finestra temporale che rende quella determinata spiaggia vincente. Ciò non vuol dire che una spiaggia vale l’altra; è evidente che la Costa Verde e il comprensorio di Badesi abbiano una marcia in più e questo da sempre. La scelta dello spot cadrà su una spiaggia che “tiene” il mare; anche il tipo di esposizione al vento è molto importante: se lo spot è battuto da venti perpendicolari al profilo della riva, ci metteremo nella condizione di evitare il “pericolo alghe”; viceversa, con venti laterali, è molto probabile che, anche se inizialmente trovassimo un tratto di mare “pulito”, nel corso della nottata i grossi banchi di posidonia in deriva interessino la nostra area. Se possibile (quasi mai lo è…) troviamo un punto non troppo lontano dalla macchina o comunque da un riparo sicuro, necessari in caso di nubifragio. La scelta dello spot influisce anche sull’attrezzatura. Ad esempio, la grande spiaggia di Buggerru, quando dà il meglio di se, è anche una grande “mangiatrice” di piombi; il fondale di sabbia a grana media, smosso dalle onde, diventa soffice e cattura le grosse zavorre; quindi se si sceglie Buggerru in scaduta, meglio usare piombi a palla e lasciare a casa le piramidi. Solo un esempio, certo, ma che chiarisce quanto sia importante associare i giusti attrezzi allo spot scelto.

Assetto dinamico
Ormai sono restati davvero in pochi quelli che, una volta in spiaggia, occupano centinaia di metri con un numero di canne fuori legge. Non si tratta di un semplice discorso di legalità (che comunque basterebbe a giustificare la scelta), ma di rendere il più possibile efficace l’azione di pesca. L’abbiamo accennato, quando si pesca tra le onde, le esche non possono rimanere in mare per ore. La corrente, le alghe, le saltuarie mangiate di piccoli pesci, sono tutti fattori che attaccano e indeboliscono senza sosta i nostri inganni. Quindi, se si vuole avere qualche soddisfazione, bisogna rimanere costantemente sul pezzo. In questa ottica, l’utilizzo di 3 canne è un buon compromesso; una quarta, se si ha familiarità con lo spot e si è pronti a “regalare” al mare qualche trave in più, si può destinare ad una pesca d’aspetto, usando come esca un trancio o qualche pesciolino vivo. Ma già tre canne sono più che sufficienti; usate con abilità fanno ottenere il massimo dei risultati possibili. Per quanto riguarda le parature, partiamo dal fatto che stiamo cercando pesci molto furbi, lanciando tra le onde. L’opzione a tre ami è troppo complessa da gestire in queste situazioni, meglio due o uno solo.  Si può provare con una canna con paratura mono amo e un bracciolo lungo adagiato sul fondo; una seconda, sempre ad un solo bracciolo, ma più corto e lasciato fluttuare a mezza altezza; la terza a due sganci, con finali corti. Lungo, corto... diamo dei numeri. Si parte dal principio che tutto decide il mare! Per le orate sarebbe sempre meglio usare finali lunghi almeno un metro, ma questo con mare mosso vuol dire dover aumentare la sezione del filo; si tratta di trovare un giusto compromesso e questo può avvenire solo in spiaggia, mai a tavolino. I saraghi invece attaccano le esche in modo più impulsivo, selvaggio. Quindi possiamo permetterci travi anche di appena 30 cm, facili da gestire con mare mosso. In ogni caso, meglio usare il fluorocarbon, sia perché ha un buon mimetismo (che comunque nella schiuma, di notte, è quasi irrilevante), ma ancor di più perché rimane più rigido del nylon tradizionale e questo evita che la lenza si ingarbugli di continuo.

Esche da non dimenticare
Nell’articolo pubblicato lo scorso mese abbiamo fatto una sorta di elogio a un’esca classica del surfcasting: il bibi. Fatta salva la bontà di questa soluzione, ma visto che vogliamo aumentare al massimo le nostre probabilità di vittoria, affianchiamo al bibi alcune esche di stagione. Non deve mancare il cannolicchio! Si innesca sgusciato e fissato sulla lenza con alcuni giri di filo elastico. Il suo potere attrattivo risiede del “profumo” intenso e nel colore chiaro che lo rende visibile anche al buio. Di contro, è un’esca facilmente attaccabile dalla minutaglia e talmente morbida da sfaldarsi sotto l’azione delle onde; necessita di un controllo ogni 15, 20 minuti massimo. Non deve mancare la seppia! Fresca, freschissima, praticamente strappata alla padella dove già rosolavano i piselli. La sua miglior presentazione è a lunghe strisce, anche queste fissate alla lenza con alcuni giri di filo elastico. È un’esca ben visibile e coriacea, in grado di rimanere attiva per lungo tempo; diciamo che un controllo ogni mezz’ora dovrebbe bastare. Se si vuole esagerare, cercando il pesce da copertina, si può innescare intera. Di contro la seppia è un’esca selettiva, forse troppo. Infine, non deve mancare mai il gambero! Anche questo strappato a una tragica fine sulla griglia, perché la freschezza è un parametro da considerare sempre. L’innesco si può operare sia intero che completamente sgusciato. Nel primo caso basteranno pochi giri di filo elastico per proteggere l’esca; nel secondo valgono le stesse considerazioni fatte per il cannolicchio. Si tratta di un’esca molto efficace, soprattutto con i saraghi, ma al tempo stesso molto delicata. Il controllo periodico non dovrebbe superare la mezz’ora. Insomma, basta fare due calcoli per capire che stiamo parlando di una pesca dinamica. Se consideriamo che ogni canna va controllato circa ogni mezz’ora, ciò vuol dire che sarà veramente poco il tempo che potremo concederci al riposo. Ma tanta fatica è ripagata ogni volta che, annunciata da poderose testate, finalmente compare sulla riva, la sagoma argentea di una preda avvolta nella schiuma; un’emozione indescrivibile.