Mormore & Fluorocarbon

Mormore & Fluorocarbon

Ormai è notte, una notte senza luna che il mare in scaduta più che vederlo lo sentiamo. Onde placide si infrangono a ritmo costante negli ultimi metri del loro cammino. Per noi in spiaggia, un tappeto musicale stupendo. Il buio è squarciato all’improvviso dalla luce della lampada frontale di Marco. Al suo richiamo rispondono i catarifrangenti fissati sulle punte delle canne. Una canna Marco, una io, una lui, una io… È nostra abitudine alternare le canne in pesca, un modo per condividere ogni recupero, ogni cattura se possibile. Un modo efficace per confrontare l’attrezzatura, ma ancor più i nostri stili, le nostre idee, le azioni di pesca. La spiaggia, le condizioni del mare e del vento fanno presagire che sarà un’uscita “light” e cioè dedicata ad una pesca di finezza, se possibile, con obiettivo grufolatori sul fondo e qualche pesce a mezz’acqua. Marco è più agonista del sottoscritto, lui avvezzo alle gare e certamente più recettivo rispetto alle novità in fatto di tecnica. Personalmente considero la “pesca alle mormore” un ripiego, rispetto alla, per me, più esaltante sfida alle onde in tempesta. Questa mia poca attrazione la manifesto con un comportamento statico rispetto all’energia che sprigiono nelle “battaglie” con i saraghi. Ma siccome anche se “minore” pur sempre di pesca si tratta, generalmente tento di portare a casa il compitino, con risultati che potete ben immaginare.

Marco Anedda osserva il cimino della canna per accertarsi che la lenza non si sia avvolta sulla punta. Intanto una grossa mormora si dimena, ormai fuori dall’acqua. La cattura è avvenuta grazie a un freschissimo cannolicchio, innescato su una paratura in fluorocarbon dello 0,18, lunga 2 metri.
 


Fluorocarbon
Ora la luce di Marco illumina i cimini. In fila ordinata, quasi marziale, le punte delle canne si stagliano fiere e noi le passiamo in rassegna. Nonostante il buio e le silhouette quasi identiche, è facile riconoscere quali siano le canne di Marco, quali le mie. I vettini sensibili del mio compagno di pesca si piegano con una curva perfetta sotto la trazione esercitata dalla zavorra; le “mie” punte paiono molto più rigide e ad ogni ondina beccheggiano leggermente. Già da questa visione si può intuire chi tra noi due alla fine uscirà vincitore. Ho portato con me tre canne, tutte in 3 pezzi, tutte “all round” e cioè canne buone un po’ per tutti i mari, ma eccellenti mai, in nessuna condizione. Economicamente la mia scelta si traduce in risparmio che pago con un'azione più “sorda” e cioè le mie tre canne, tutte sui 4,2 metri di lunghezza e potenza da 100 a 200 grammi, segnalano l’abboccata solo quando il pesce più che mangiare divora, sbrana. Il poco mare della serata consiglia zavorre intorno a 100 grammi, ma per mettere le mie canne in piega ne devo utilizzare almeno 130. In bobina ho un ottimo 0,25 e shock leader conico sino a 0,50. Utilizzo un trave a due ami, anch’esso dello 0,50 in nylon. I finali sono fissati al trave per mezzo di microsfere, unica variazione moderna che concedo al mio approccio classico. Le microsfere scaricano benissimo le torsioni del bracciolo e uso con successo questi travi anche a mare grosso. Ormai mi piacciono, ma soprattutto trovo bello e rilassante preparare gli ami e decidere la lunghezza dei finali, in spiaggia, a scapito di un po’ di tempo in più che potrei sfruttare se mi portassi parature già pronte. Il trave è lungo 2,2 metri, abbastanza per permettere di fissare due braccioli, lunghi intorno agli 80 centimetri. Questi sono in fluorocarbon dello 0,20 su cui lego ami misura 8. Anche Marco sfodera le tre pezzi, ma di sicuro più adatte all’azione specifica. Canne leggere, sottili, lunghe almeno 4,6 metri, con potenza intorno ai 100 grammi e con cimini così sensibili da segnalare la minima tocca. In bobina monta lo 0,18 e, se ha bisogno di maggior distanza, pure lo 0,16. Shock leader del 30 e travi di sezioni pari o anche meno dello 0,27. E qui iniziano le vere differenze d’assetto. Travi e braccioli sono tutti in fluorocarbon. Quasi sempre Marco inizia con due canne, ambedue a un amo solo: una per lavorare sul fondo, la seconda a galla. Il collegamento tra trave e bracciolo è garantito da una microgirella a sgancio rapido. Marco si porta da casa alcune “matasse” di ami già legati, in misure e lunghezze diverse. Il bracciolo finale, se a fondo, è lungo non meno di 1,5 metri, per arrivare sino a 2! Un po’ meno se lavora a galla. Ma comunque la sezione del finale è sempre dello 0,16 e anche 0,14, con ami del 10 o più piccoli. Solo se si accorge di una maggiore attività, Marco sostituisce i travi iniziali con soluzioni a due ami, sempre tutto in FC. Insomma, nel cassone del mio compagno di pesca il “vecchio” nylon è relegato al solo ruolo di lenza in bobina. Tutta la sezione finale del suo assetto di pesca, trave e finale, sono in fluorocarbon. Il confronto sul campo risulta impietoso. La luce di Marco scorge un cimino spiombato, evidenza di una lenza in bando. Chi sarà il primo a “scappottare”, a recuperare la prima preda? Indovinate un po’… È una delle sue, tra due miei attrezzi immobili, rigidi, inanimati. La lunghezza del fusto e la sensibilità della cima assecondando la resistenza della mormora alla cattura e permettono un recupero in sicurezza, nonostante trave e bracciolo siano sottilissimi. Marco si dispone con la canna quasi in parallelo alla riva e… hop! La prima mormora è a terra. Lo sgancio rapido permette a Marco una veloce sostituzione del bracciolo, con ancora la preda allamata; poi Marco lancia e solo allora slama il pesce e lo ripone nel secchio. In tutto la canna è rimasta fuori dall’acqua meno di un minuto. Le sue catture si susseguono a ripetizione mentre io stento, e totalizzo un carniere molto più magro. Non centra la linea di pesca; siamo con tutte le canne sui 50 metri da riva. Non centra neanche l’esca: utilizziamo le stesse in comune, alternando possibili combinazioni tra arenicola, piccoli bibi, cannolicchio e coreano. Trascorriamo alcune piacevoli ore in spiaggia, sufficienti a evidenziare la supremazia della tecnica fine. Ciò che salta più agli occhi è la differenza mostrata tra travi in nylon classici e travi in fluorocarbon, con questi ultimi nettamente più performanti. Insomma, il mimetismo garantito dal FC non si limita al solo bracciolo. Se vogliamo risultati, è determinante “nascondere” tutto l’assetto. Abbandoniamo il campo con Marco che mi sfotte ed io che rispondo: “Voglio la rivincita a mare grosso. Allora vedrai…”. Si, forse, non è mica detto e poi… perché?