Per lo più sono predatori che attaccano esche destinate ad altri pesci. Grossi esemplari solitari, affamati e inaspettati. Si tratta di catture quasi casuali, quasi, perché c’è chi li cerca con cognizione di causa.
foto sopra: Andrea Galiani solleva una coloratissima lampuga, pescata in una mattina di novembre con un grosso muggine innescato su una paratura mono amo. Non una cattura casuale, visto che Andrea sperava nell’attacco del dorado e aveva preparato un grosso bracciolo dello 0,50.
Il sole non è ancora sorto, ma il cielo ad est si sta già rischiarando e fa freddo, pungente come solo all’alba può esserlo. Il pescatore sbuca fuori dall’ombrellone, con due ore di dormiveglia e tanta voglia di caffè caldo. È stata una notte di surfcasting proficua, almeno sino a quando, intorno alle 3 del mattino, i pesci hanno smesso di mangiare le esche. Orate e saraghi ingannati con cannolicchi e seppie e spigole da cercare col vivo. Tutto previsto, tutto come da copione. E l’alba solitamente non regala grandi scossoni. Ma il surfcaster sa che questa volta il finale può essere esplosivo. In questo periodo dell’anno, dopo troppi mesi di calma piatta, finalmente sono iniziate le prime vere mareggiate e la bassa pressione promette sorprese. In più, la temperatura del mare è ancora abbastanza alta, condizione particolare che suggerisce di cambiare strategia. Il pescatore recupera le esche che da troppo tempo giacciono in acqua: lenze aggrovigliate, qualche alga, un bracciolo tagliato… tutto come previsto. È arrivata l’ora di osare. Arma due canne dall’azione “potente”, fusti fatti per lanciare zavorre con esche voluminose. Dal fondo del cassone estrae una bobina di fluorocarbon dello 0,50 e prepara due finali identici della lunghezza di 70 cm; lega gli Aberdeen 3/0, innesca e lancia in mare. Due canne in acqua, due muggini vivi, i più grossi e vitali rimasti nel secchio con l’ossigenatore. La poca luce dell’alba gli permette finalmente di vedere un canale che corre in corrispondenza di una punta di sabbia ben pronunciata. Lancia con precisione proprio lì, a non troppa distanza dalla riva. Ed ecco il finale sperato, anzi, ben due finali!

E si, perché quello che poteva sembrare un racconto romanzato è invece testimonianza di due esperti pescatori che in due spiagge diverse, in giorni diversi, ma con le stesse ambizioni, hanno deciso di sfruttare la montata (uno di scirocco, l’altro di libeccio) per insidiare, con precisione chirurgica, due predatori molto poco comuni nei carnieri del surfcasting: lampuga e leccia amia. Andrea Galiani le ha viste le lampughe la sera prima, cacciavano a non più di 40 metri da riva, stupende, coloratissime, inconfondibili. Faceva un caldo inconsueto, tanto che Andrea si muoveva tra le canne in maglietta. Poi freddo di notte e di nuovo caldo dopo l’alba. Ma proprio questa anomalia gli ha messo in testa un’idea pazza: “Domani mattina pesco una lampuga!”. Ha aspettato un’intera notte, la lampuga non caccia col buio. E infatti solo dopo l’alba, finalmente ha visto l’attacco, con una partenza portentosa, instancabile. Nell’altro versante dell’isola, Emanuele Orrù aveva programmato la notte di pesca ben conscio che l’alba gli poteva regalare l’incontro con la leccia amia. “All’alba la pesco, all’alba la pesco!”. Stessa esca, ma condizioni di mare differenti, con l’acqua più fredda e tanta corrente. La leccia si è mostrata in tutta la sua maestosità, 7 chili di pura potenza. Due catture non comuni, ma non casuali, almeno per i veri lupi di mare.
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