La Tribù di Solanas

La Tribù di Solanas

La leggenda narra che, ormai tanto tempo fa, un gruppo di pescatori volenterosi, dopo aver testato la spiaggia di Solanas in tutte le situazioni possibili, decretassero che questo spot si dimostrasse sterile, avaro di catture, sempre. Con un gesto simbolico, risalirono il promontorio che limita la spiaggia verso nord e lì posero una grossa croce, a perenne monito per il surfcaster viandante. “Solanas mamma mia! Pescarci è una pazzia!” Proverbio che affonda la sua origine nella notte dei tempi. Ora, per esser sinceri, di vero in tutto questo racconto c’è solo la grande croce bianca, posta appena sopra un insediamento religioso, panoramico e forse un po’ impattante. Solanas è uno spot che non gode di buona fama tra i pescatori. In queste pagine abbiamo già descritto le sue caratteristiche in alcuni articoli ormai datati che ben esprimevano concetti ancora validi. In sostanza a Solanas si hanno decenti probabilità (dico decenti, mica ottime…) di catture solo con mare molto mosso. E siccome la spiaggia è esposta a sud ovest, con acqua alta appena dopo la riva, le “finestre” favorevoli si aprono di rado: burrasca da sud, o burrasca da Libeccio o Ponente. Ecco spiegati i numerosi “cappotti”, le uscite a vuoto che hanno gettato il mantello dell’infamia su questo spot. In più, come aggravante, Solanas è una spiaggia comoda, facile da raggiungere, dal Campidano come dal Sarrabus; e poi il parcheggio corre lungo tutta la sua estensione e permette di piazzare le canne senza dover camminare troppo sulla soffice sabbia. Una comodità che spinge molti a sceglierla anche quando le condizioni suggerirebbero di escluderla. E i cappotti si moltiplicano! Esiste poi una strana tribù, non più di una manciata di “aficionados” che rispettano le regole del posto in modo rigido, religioso. Questo vuol dire che rimangono silenti per lungo tempo, anche molti mesi, salvo ridestarsi e radunarsi a Solanas in quelle poche, estreme giornate propizie. Chi ha visto Point Break (quello vero, quello del 1991 di Kathryn Bigelow…) ricorderà il rapinatore idealista Bodhi, amante del surf (quello con la tavola) e la manica di pazzi al suo seguito, un gruppo di invasati, con un’esistenza oltre il limite, in perenne attesa della Tempesta del cinquantennio. Questa tempesta, a detta loro, si sarebbe dovuta manifestare in Australia due volte ogni 100 anni, con le onde più impressionanti e affascinanti che un surfer possa desiderare. Ecco, la tribù di cui parlo, alla tavola da surf preferisce piombi a palla da 200 grammi o, in alternativa, piramidi di pari stazza. I membri del gruppo s’incontrano al più una o due volte l’anno, si conoscono solo di vista ma si rispettano: non ti improvvisi quando peschi nella tormenta.

Arriva la burrasca
È fine novembre, il barometro punta il suo ago a ore otto, indica cioè bassa pressione. Il vento soffia impetuoso da Libeccio, rafforza. Ad una prima fase “elettrica”, con temperature troppo alte per la stagione e temporali diffusi, segue una giornata con pioggia battente, temperature più rigide e vento che rafforza la sua intensità, se possibile! Poi ecco che in poche ore i fenomeni si attenuano. In questo breve arco temporale si muove la tribù di Solanas. Chi raggiunge la spiaggia troppo in anticipo trova tanta acqua da tutte le direzioni: da su arriva la pioggia; dai lati, un denso aerosol d’acqua e sale trasportato dal forte vento; da giù attenti alle onde anomale che sommergono la spiaggia sino alla strada. Uno sforzo immane per il pescatore, troppo; e allora, meglio attendere. Chi al contrario raggiungerà la spiaggia solo in fase di bonaccia dovrà fare i conti con le regole ferree di questo spot insano. Solo pochi eletti riescono a sfruttare la burrasca. La finestra temporale favorevole è breve, come breve è l’incontro con il branco di grossi saraghi, anch’essi coraggiosi, spiniti fin qui dalle onde e dalla promessa di un facile pasto. Facile certo, per il sarago che nella forte corrente e nella schiuma esibisce le sue formidabili doti di nuotatore. Matteo e Marcolino sono pronti quando ancora lanciare è proibitivo. Si piazzano al centro spiaggia. Aspettano e ogni tanto tastano il mare con un lancio di prova. Ai loro lati… il vuoto. Lontano, verso la scogliera, scorgono un’altra coppia di pescatori. Matteo sfrutta l’occasione e mette in atto “lo scarroccio ai saraghi”. Tecnica nota, tecnica vincente e rischiosa. In breve, si tratta di lanciare l’esca accompagnata da una zavorra appena insufficiente a tenere il mare. L’esca in questo modo è lentamente trasportata dalla corrente. Spesso lo scarroccio la porta a pochi centimetri dal muso di un sarago e avviene l’attacco. Lo scarroccio ha bisogno di tanto spazio tra le canne per evitare che le lenze si intreccino; ma se in spiaggia non abbiamo compagnia, diventa una soluzione molto produttiva con i saraghi. La paratura da scarroccio deve presentare l’esca in movimento, nella turbolenza. Uno o anche due braccioli, se vediamo che l’aggiunta non peggiora la presentazione. Braccioli corti, non più di 50 centimetri e con sezione intorno allo 0,30. Esche dure: strisce di seppia o di calamaro e grossi bibi, interi o preparati a caramella. Matteo innesca un bibbone dalla pelle spessa. Lancia, osserva lo scarroccio e quando ormai la zavorra è quasi a riva, recupera, controlla il trave e rilancia. Uno, due… al terzo lancio lo scarroccio s’interrompe quasi subito; a muoversi adesso non è più la zavorra ma la punta della canna: un grosso sarago ha addentato l’esca e ora è preso! La magia si ripete altre due volte in non più di 40 minuti. Poi a Solanas torna la quiete. La tribù abbandona il campo in attesa della prossima grossa mareggiata. Chi rimane in pesca non raccoglie frutti e si aggiunge alla nutrita schiera di quelli che: “Io a Solanas? No, basta, una croce sopra!”.