Il Re di Spigole

Il Re di Spigole

La pesca in apnea ha virato, in questi ultimi anni, verso mete profonde, impensabi-li fino a qualche anno fa, complice, senza dubbio, un confronto sempre più stretto tra la pesca e la pura apnea. Possiamo dire che sono ancora pochi gli atleti che riescono a raggiungere i 70 metri, ma sono sempre di più quelli che hanno sfondato quota 40. Tutto ciò, alla ricerca dei grossi dentici e delle cernie più mature. In controtendenza, Federico Rachele, Cagliari, classe 1991, operatore della sanità, ancora libero di scegliere la sua vita, pur amando la pescasub già dall’età di 4 anni, si specializza nella pesca in basso fondo, in particolare alla spigola.

Federico, come hai iniziato?
Mi ricordo che già a 4 anni ero attratto dal mare ma in particolare dalla pesca. Dovevo raccogliere qualcosa, che fosse un granchio, una patella, una conchiglia o un verme. Per questo ispezionavo con meticolosità gli scogli, in riva, assistito da un familiare. Nota che mio padre era un appassionato pescatore che mi ha introdotto al bolentino, allo spinning e anche al surfcasting. Ma il pensiero vincente era in quella testolina che doveva immergersi e esplorare le rive del Golfo e di Carloforte durante le gite estive. Così in un naturale crescendo sono arrivato all’incontenibile età di 14 anni. La mia energia e la curiosità per la fauna marina, accendono, in famiglia, un campanello d’allarme, tanto da giungere ad uno storico compromesso. Niente più immersioni a caccia, fino a 18 anni. E così è stato! Sopite le mie velleità, mi sono lasciato contagiare da altri dolci interessi tipici dell’adolescenza. 4 anni sabbatici, puntualmente terminati con la maggior età.

Immagino sia stato il primo traguardo della tua vita.
Si, impegni scolastici a parte è stata una tappa agognata e importante, alleggerita soltanto dalle sedute alla tv coi video del grande Dapiran, gran pescatore e ancora più grande divulgatore. Comunque ho sempre cercato di non trascurare i miei doveri, anche se in mare consumavo due o tre giorni alla settimana. Per il primo anno di autonomia mi sono dedicato ai polpi grazie a una guida insuperabile, Angelo, non per niente detto “la piovra”. E in quello stesso periodo ho iniziato la pesca all’aspetto e all’agguato in acqua bassa. Nel 2011, quindi appena ventenne, mi trasferisco a Sassari all’università, scienze infermieristiche. E qui inizia una nuova era. Affascinato da nuovi e pescosi scenari, mi dedico anima e corpo alla pesca in acqua bassa, soprattutto all’agguato. Stefano Pinna, più esperto di me, mi accompagna nelle lunghe scorribande tra Alghero e Olbia a scoprire i segreti degli scogli più nascosti battuti dal Maestrale in scaduta, condizione favorevole per gran parte delle specie di nostro interesse, ma soprattutto per la spigola. Qui, con amici e conoscenti, mi concedo anche qualche uscita in barca con tuffi sui 20-25 metri, ma, catture a parte (saraghi coi denti neri e orate), si rafforza in me l’innata indole di agguatista. A 24 anni, neolaureato, rientro a Cagliari e fortunatamente trovo lavoro in pochi mesi, con turni che mi consentono di uscire in mare 2-3 volte la settimana. Arricchito delle esperienze del Capo di sopra, riprendo a uscire da terra con Alessio Obinu, il mio amico e compagno di pesca. E presto (2016), grazie alla tranquillità economica, arriva anche la mia prima esperienza di pesca all’estero, in Spagna. 15 giorni di vacanza itinerante, da Bilbao (Paesi Baschi) a Finisterre, praticamente tutta la costa settentrionale di Spagna che si affaccia nell’Atlantico. Una realtà completamente diversa dal nostro bacino, unu friusu… A settembre acqua a 16 gradi, con mare e correnti fortissime, ma anche una fauna invidiabile: saraghi, muggini, spigole e un’indimenticabile granceola di tre chili, catturata in appena tre metri d’acqua. Il secondo round, l’anno successivo, in Portogallo, in Alentejo, una regione rurale, meridionale, ancora scarsamente antropizzata, con un mare incontaminato, coste vergini, alte, in assenza di strutture nautiche. Una bella natura, selvaggia… impegnativa, ricca però di saraghi preistorici e grossissime spigole.

Cosa ti ricordi di questa esperienza?
In una discesa con fondale a digradare fino a 15 metri, faccio un aspetto sui 9. Mi aggrappo a una pietra, per il mare e una corrente fortissima. Dopo un lungo aspetto scorgo una grossa spigola, stimata sui 7 chili, che risale, spinta da una corrente mai vista. Anche io rimango vittima di tanta forza e impotente mi lascio trascinare in superficie. Naturalmente della spigola perdo le tracce. È andata così, troppo mare, meglio spostarsi su punti più ridossati.

Come ti definisci?
Fondamentalmente un’agguattista su basso fondo e condizioni spinte. Mi piace essere protagonista, condurre l’azione e andare incontro al pesce. Adesso però mi piacciono anche i tuffi a 20-25 metri per la pesca in tana.

Possiamo dire che sei uno specialista della pesca alla spigola, ci vuoi dire come si fa?
Ok, posso raccontartela a modo mio, non è detto che sia l’unico o il migliore. Pesco fondamentalmente da terra e ogni battuta è preceduta da un’attenta analisi meteo-marina (Consorzio Lamma e Meteo Pesca per le maree), astronomica (sole e luna), temperatura dell’acqua (fondamentale) e precipitazioni, poiché ognuno di questi elementi influisce sulla pesca. La mia area di interesse è il Golfo di Cagliari e la costa occidentale da Marina di Ar- bus fino a Oristano (S’Archittu). D’inverno indosso una muta da 8 e 6,5 liscio-foderato/spaccato, non necessaria- mente mimetica. La piombatura, questa sì, fondamentale, per garantire equilibrio e stabilità, la fraziono tra schienalino 3-4 chili, cintura 6 chili, caviglie 300 g x 2. La maschera è una Samurai Mares, auto-mimetizzata, ma, ripeto, non credo molto nel mimetismo. Meglio concentrarsi sulla piombatura e sull’acquaticità aumentata dalle Cressi gara 3000 opportunamente accorciate. I fondali che frequenta la spigola sono variegati, mai uniformi, quindi con scogli affioranti e sabbia e posidonia intorno. Insomma, ambienti che reagisco- no alle onde e alla corrente, con materiali in sospensione, magari addolciti da uno sbocco di acqua dolce. Il primo approccio, è sul punto più vicino per non perdere energia e consumare calore. Mi muovo quasi senza pinne, spinto dalle braccia che fanno presa sul fondo. Nelle discese mi lascio calare dalla zavorra, così da essere libero e concentrato su eventuali pesci “improvvisi”. Valuto attentamente lo scenario, poiché è possibile, con l’esperienza, riconoscere i probabili passaggi della spigola e quindi costruire un itinerario in modo da prepararsi su un punto o un’altro. La femmina di grosse dimensioni, cerca il riparo continuo e si muove da una pietra all’altra, a tappe, senza grosse migrazioni che potrebbero tenerla allo scoperto per troppo tempo, rendendola vulnerabile. Spesso è accompagnata da un “corteo” maschile, interessato alla riproduzione, che non la molla ma la segue. Questo incedere “in sicurezza” della spigola mi fa ipotizzare il percorso e quindi mi predispongo al tiro per anticiparla o addirittura attirarla con suoni gutturali, bolle d’aria o sfregamenti sulla roccia. Spesso capita il tiro istintivo. Infatti, nel “murigo” di onde e correnti, succede che la spigola si materializzi all’ultimo. Se sei concentrato riesci a essere rapido e colpirla, altrimenti... Pesco con un “62 Galasub light roller”, con doppia gomma da 14 e asta da 6,5 con foro centrale. Ritengo questo fucile l’arma ideale, perché garantisce un’ottima gestione del rinculo anche in ½ metro d’acqua, ha una gittata super di ben 4,5 metri e una massa ridotta, per un legno, che lo rende estremamente brandeggiabile. Il tutto in dimensioni ridotte, congeniali alla pesca in risacca e condizio- ni estreme. A proposito di grossi esemplari preferisco insagolare l’animale e sfruttare l’asta a mo’ di aletta.

Un aneddoto?
Una storia che si ripete spesso è quella dell’ultimo sparo. Cerco sempre di posticipare il rientro e spesso a ragione. Una volta, ad esempio, a pesca in tana, a Oristano, in una distesa di pietre nel-la sabbia, mentre i miei compagni mi fanno il cenno dell’orologio. Io insisto e da dietro si materializzano 3 ombrine che sembravano piccole ma erano oltre i 5 chili. Curiose si sono avvicinate. Sparo alla prima ma s’intana in un grotto. Segue un combattimento di parecchie discese. Alla fine la porto su con grande festa dei miei gli amici.

La spigola più grossa?
7 chili a Capo Mannu, settembre 2016, una giornata sterile in 6 metri d’acqua con pietroni e buchi. Da destra arrivano due spigoloni, diffidenti come da periodo. Stando attento a non muovermi sparo e colpisco il più grosso subito dietro l’opercolo. Bravo.