Il palamito, tradizione o roba di altri tempi ?

È notizia recente che con la pubblicazione lo scorso 29 febbraio del decreto legge a firma del ministro dell'Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, il Ministero (Masaf) ha limitato l'utilizzo del palamito da pesca riducendo il quantitativo di ami utilizzabili per i pescasportivi.
Com'è noto, per gli sportivi il limite è fissato a 200 ami innescabili che verrà appunto limitato a 50 ami, causando le solite proteste degli utilizzatori dell'attrezzo sopratutto in Liguria, dove il sistema tradizionale del palamito è considerato vitale per la pesca locale e utilizzato da centinaia di pescatori, che spesso, anzi troppo spesso, ne traggono fonte di reddito.

Tuttavia le considerazioni sulla sostenibilità dell'attrezzo sono all'ordine del giorno, sopratutto se le volgiamo considerare attività ''sportive''. È del tutto palese che il palamito a 200 ami, è attività intollerabile per la pesca sportiva, e che quindi una riduzione degli ami è più che giustificabile oltre che lungimirante. Per le attività professionali c'e' davvero da dire che i problemi veri sono ben altri e molto più pesanti. Le normative vigenti, ancora oggi, permettono il calo delle reti ''da posta'' senza praticamente nessun limite, e i controlli sulle pochissime norme in vigore,
sia sportive che professionali , sono pari allo zero. Per un reale miglioramento della situazione, senza compromettere o interrompere il divertimento di molti e il lavoro di tanti e salvare sia il nostro mare, che fauna e flora, basterebbero poche iniziative.

Potremmo partire dal divieto assoluto di pesca professionale con qualsiasi tipo di attrezzo entro i 200-300 metri da tutte le coste, rispetto all'attuale normativa che ne vieta la posa solo in presenza di punti foranei. Bisognerebbe iniziare una verifica e un controllo sistematico di tutte le licenze professionali con la vidimazione di ogni singola rete-attrezzo posta in mare. Si potrebbero aggiungere, alle conseguenze penali dei cattivi comportamenti, anche l'espulsione definitiva dalla pesca in mare, dei professionisti in caso di reticenza o reiterazione dei reati.
Gli effetti di alcuni comportamenti sono evidenti, infatti si sa che i primi 200-300 metri di mare sono quelli dove il pesce si nutre e prolifera, soprattutto il novellame, e quindi l'introduzione di norme simili darebbero immediato giovamento allo stress dei nostri mari. L'introduzione della 'vidimazione degli atrezzi aiuterebbe le Capitanerie di tutta Italia ad agire in maniera più rapida e incisiva verso i bracconieri e i non autorizzati.

Ma anche gli sportivi hanno le proprie colpe. Il divieto assoluto di pesca in foce, sarebbe più che auspicabile. Come del resto un servizio costante di vigilanza da parte delle istituzioni, sarebbe il minimo. La verifica periodica dei
comportamenti dalle scogliere, dai moli e dalle spiagge solo con le leggi esistenti
sarebbe più che sufficiente, rispetto ai limiti di taglia e peso massimo prelevabile .

Ma si sa, siamo in Italia, le cose sono sempre più complicate dalla burocrazia e dalle normative vecchie e obsolete e pare strano e incomprensibile come una nazione con oltre 7500 km di coste, dove il mare e le sue risorse sono la prima fonte di ricchezza nazionale, di lavoro e turismo, non ha ancora adottato un sistema e un programma di tutela e salvaguardia capace di coadiuvare le esigenze professionali e ricreative del comparto. Siamo indietro, ma dobbiamo modernizzare sia le nostre leggi che i nostri comportamenti per poter avere ancora svago e lavoro dal nostro mare e dalle nostre coste!