I Giganti di Cesare Orrù

Una vita sott’acqua, appresso al padre e poi con gli amici. Cesare Orrù, imprenditore edile, classe ’69, si racconta e si rivela, alla fine, grande pescatore di grandi pesci. Tutto ha inizio a Santa Margherita di Pula, in campeggio, durante quei 4 mesi estivi di vacanza, sacrosanti per un bambino sano e solare. Il mare è lì e lui lo apprezza. Lo vive intensamente dentro e fuori dall’acqua. Un gioco che è durato diversi anni, finché si ritrova ventenne, e alle spalle mille iniziali avventure con polpi, muggini e mormore, diventati poi saraghi e corvine, principalmente. Con la maggior età arriva il lavoro, la macchina, e il gommone di stanza a Is Molas. Ovvio, quindi, che le sue immersioni fossero ancora nelle acque di Santa Margherita, tra Nora e l’Abamar. Poi, c’è stato l’incontro con Eugenio Belfiori, l’avvicinamento al “tempio” subacqueo di Air Sub il brevetto di pescasub e l’esordio nel mondo agonistico. “Erano i tempi di Castorina e La Brocca. Io mi muovevo un gradino più sotto, diciamo che il mio livello agonistico è sempre stato di respiro regionale.”. Oggi? Oggi faccio agonismo in piscina, apnea dinamica, con i colori Air Sub.
Per il resto come sei organizzato? Vado a pesca con regolarità, nei tempi che la professione mi lascia liberi, sempre in compagnia di Simone Poma, mio compagno di pesca abituale. Ho un Mar Sea 100 con un Selva Murena, sempre pronto al Nautilus, da Magnabosco.
Qual è la tua tecnica? La mia formazione è la tana. Sono quindi affezionato alle corvine, ai saraghi e alle cernie. Ma devo dire che mi eccita anche l’aspetto.
Tre catture da raccontare? Beh, di quelle a effetto? Roba degli ultimi anni?


Ricciola
Partiamo con la ricciola. Era estate, all’Isola del Corno, uno scoglio di circa 2000 metri quadrati che affiora a ½ miglio circa a ovest di Capo Sandalo, nell’isola di San Pietro. Immaginatelo come la punta di un iceberg che si appoggia sul fondo a circa 25 metri di profondità. Lì intorno, a partire, più o meno, da 40 metri, si trovano diverse guglie che risalgono fino a 20, 15 metri. Questa irregolarità del fondo accentua le correnti locali e favorisce la presenza di pesce foraggio e quindi dei predatori. Quel giorno, nuotavo su queste guglie nel versante occidentale del Corno, per raggiungere dei punti dove in altre occasioni avevo pescato sia saraghi, che corvine, che cernie. Ero in superficie e mentre scrutavo il fondo noto questa sagoma che non fatico a riconoscere. Era una grossa ricciola attaccata al fondo che strusciava sulle guglie. La seguo nel suo percorso, sempre dall’alto, e al momento buono m’immergo. Purtroppo la corrente giocava a mio sfavore e per un paio di tuffi non ho potuto sparare. Al terzo tentativo riesco a fare una manovra veloce e arrivare sopra di lei a distanza di tiro. Finalmente sparo, alla schiena. Centro perfetto. Riesco a tenerla in tiro, risalire e chiedere a Simone di scendere a doppiarla.

Cernia bruna
È estate, luglio 2021. Partiamo da Cagliari, io e Simone Poma, col gommone, il mio Mar-Sea, per scarrellare a Portoscuso. Arriviamo alle 08,00 circa e in un attimo siamo in acqua, in navigazione con la prua verso il Corno, lo stesso della Ricciola. I primi tuffi non sono entusiasmanti e dopo aver raccattato qua e là qualche pesce ci trasferiamo. Siamo sempre a Carloforte, zona Cala Vinagra, nel versante nord orientale dell’isola di San Pietro. L’acqua è limpidissima, abbastanza calda e ci muoviamo su un fondo di circa 33 metri, in un punto dove Simone aveva fatto una cernia discreta. Sempre in quel punto, Simone scova un grosso serranide. Però fallisce lo sparo e mi lascia il campo. Purtroppo neanche io sono fortunato. Intanto la cernia si rifugia sotto una lastra di grotto con un’apertura abbastanza ampia. Probabilmente il pesce era lì di passaggio. Era molto nervosa e come mi sono infilato sotto è sfilata in un buco dalla parte opposta. Così si sposta in un’altra tettoia, 10 metri più avanti. C’era uno spacco verticale e per avere visuale bisognava infilarsi a testa in giù. Così ho fatto e ho sparato. L’ho presa in testa, ma c’è voluto il colpo finale di Simone, poi è venuta su.

“In risalita, dopo un tuffo a 26 metri, vedo questo pescione che mi viene incontro. Punto l’arbalete e aspetto che si avvicini ancora. Arrivata a un metro di distanza sparo.”.


Leccia
Ero con amici, in un pomeriggio tranquillo, al Poetto, forse alle 15,00. Era estate, luglio di due anni fa. Pescavo saraghi su una striscaita. In risalita, dopo un tuffo a 26 metri, vedo questo pescione che mi viene incontro. Punto l’arbalete e aspetto che si avvicini ancora. Arrivata a un metro di distanza sparo. Cerco di tenerla in tiro mentre risalgo. Poi do il fucile a un amico e velocemente riscendo per doppiarla. Intanto si era portata via un po’ di filo. A 10-15 metri sparo la seconda volta, sempre in testa. È stata la mia prima leccia, ma in precedenza avevo in attivo una ricciola di 35 chili.
Come sei equipaggiato? Beh, le mute sono confezionate su misura da Francesco Onnis, titolare del marchio Shardana Sub. D’estate uso una 5 millimetri per il busto e una tre millimetri, sempre foderata e liscia all’interno. D’inverno ci vado pesante con una 8 o 9 millimetri il pezzo alto e 7 per le gambe. I calzari: 3 millimetri 12 mesi all’anno. Uso pinne Mantra di Cetma, maschera Scubapro nera. Per sparare ho pochi fucili. Uno lungo, doppio roller, appartenuto all’indimenticato Fabrizio Accorte. Un 100, doppio elastico, per l’aspetto e la tana e un ottantino in legno ereditato da Simone, per la tana.
Accessori indispensabili? Un buon ecoscandaglio e la cintura bianca. Possibilmente anche le pinne. Il chiaro è visibile dal compagno che sta in barca. È una misura di sicurezza. Un piccolo coltello in cintura. Mentre, sempre per sicurezza non uso porta pesci: è fonte di agganci anche pericolosi.
Qualche difficoltà? Ero ragazzo, forse 25-26 anni. Ero in ferie a Capo Testa. Mi tuffo su uno scoglio affiorante e al rientro, in risalita sento un gommone in arrivo. Per emergere ho dovuto spingerlo con le braccia. Nonostante la bandierina in evidenza, i giovanotti a bordo, continentali e accompagnati da giovani fanciulle, non si sono resi conto di nulla. Secondo me non hanno dato importanza al segnale perché non sapevano cosa fosse.
Un episodio qualunque? Il salvataggio di una tartaruga a Sant’Antioco. Nuotava a galla. Ho pensato al classico granchio nel posteriore. E infatti, issata a bordo e liberata dallo sgradito ospite, ha ripreso a nuotare normalmente immergendosi in velocità. Ah, lo scorso anno, nel canale tra la Vacca e il Toro ho visto un balenottero, emozionante!