Giorgino a Colori

Giorgino a Colori

È  notte, la luna che non ha raggiunto il primo quarto, ormai sta per tramontare sui monti di Capoterra. È buio, non un buio profondo perché pur avendo lo sguardo rivolto al mare, siamo circondati da tante luci. Alle nostre spalle sfrecciano camion e automobili, incuranti della nostra presenza anche se ogni tanto si ode un urlo: “Bonapisca!” subito inghiottito dalla notte e dal rumore della debole risacca. Guardando il mare, alla nostra destra il lungo pontile della Enichem illumina con le sue lucine la piatta distesa d’acqua salata; poi, volgendo lo sguardo a sud e ancora più a est, ecco Cagliari, con la sua vita illuminata da insegne, neon, sirene e lampioni. Soffia da giorni il Maestrale che qui trascina via le alghe e tiene lontani i granchi, il nemico numero uno in questa spiaggia. Il vento alle spalle spinge a lanciare al limite di canna e braccia, ma sarebbe fatica inutile perché di notte i pesci nuotano vicino, come presto scopriremo. La spiaggia di Giorgino non ha bisogno di presentazioni, frequentata per decenni da tutti i pescatori del cagliaritano. Quello che cambia è la nostra condotta di pesca, il nostro approccio, visto che c’è bisogno di uno stile sempre più raffinato, in linea con i tempi moderni e con la necessità di trovare sempre nuove soluzioni al problema dell’impoverimento del mare. Se solo una decina di anni fa o poco più era impossibile o altamente improbabile andar via da Giorgino a mani vuote, adesso solo chi cura tutti i particolari può terminare la serata (nottata) con un successo.

“La notte a Giorgino siamo circondati dalle tante luci di Cagliari, quelle del lungo pontile che scompare all’orizzonte e quelle, sempre in movimento, dei tanti pescatori richiamati dal Maestrale”.

Due assetti, un vincitore
Come spesso in queste circostanze, siamo in due, Marco ed io, ognuno con le sue canne, le sue parature, le sue filosofie. La mia un po’ grezza, radicata nella tradizione, con un assetto classico: due canne allround, per intenderci le stesse che uso in estate e inverno, con vivo o arenicola; nel mulinello lenza madre dello 0,28, shock leader del 50, trave a tre ami, con braccioli del 0,20 e ami dell’8; come esca poca arenicola, qualche tremuligione e piccoli bibi. Marco, tra i due il più attento alle novità e all’evoluzione della tecnica, risponde con la sua personale interpretazione di Giorgino: due canne da 4,30 metri con vettini intercambiabili; per l’occasione sceglie di fare “indossare” alle sue canne i sottili vettini da 100 grammi, sensibili, spettacolari; in bobina ha dell’ottimo 0,18 con shock conico che aumenta lo spessore della lenza sino a poco più dello 0,40 facendomi capire da subito che non è sua intenzione lanciare troppo lontano; ma la vera differenza arriva adesso. Marco ha portato con sé alcuni travi (una trentina…), in fluorocarbon del 35, con due attacchi. Al posto del classico moschettone per agganciare il trave alla lenza madre, Marco ha preparato delle semplici asole, una soluzione che rende il tutto meno pesante e più mimetico, anche se a mio parere quel punto della paratura non necessiterebbe di un così esasperato mimetismo. Sempre all’insegna della leggerezza, gli attacchi dei braccioli sono con microscopici sganci rapidi, fermati nella giusta posizione da alcuni giri di filo di cotone. Basta, tutto molto essenziale, sintetico, senza fronzoli.

Tengo in mano uno dei suoi travi, quasi invisibile e praticamente senza peso. Ma ancor più di questo, dell’assetto adottato dal mio compagno di pesca, mi colpisce la scelta di ridurre a solo due ami il suo potere catturante, soluzione motivata dalla possibilità di controllare e rilanciare con maggiore velocità. Nel caso che l’attività dei pesci aumentasse in modo rilevante, Marco mi spiega che ha già pronta un’altra ventina di travi a tre ami. Come esca, il mio amico mi stupisce, sfoderando dalla borsa porta esca un grosso mazzo di trimuligioni e… basta. Dopo averlo “sgusciato”, ne infila uno nell’ago e poi lo fissa al bracciolo dello 0,16 puntandolo su di un amo del 10. I primi lanci trascorrono senza sussulti, con qualche piccola cattura insignificante. Poi Marco sfodera dal suo cassone una scatoletta “magica”. Nel buio splende di luce propria, tante piccole lucine colorate, deboli ma molto suggestive. La scatolina contiene la sua ricca collezione di attrattori luminosi: palline di plastica, gomma o polistirolo, imbevute o ricoperte con vernice colorata che si attiva e diventa visibile se esposta alla luce della lampada frontale. Ancor meglio se si utilizza una torcia UV che se puntata, anche solo per un breve istante, sugli attrattori li attiva per minuti. Marco applica due attrattori bianchi a forma di piccole palline ai due ami di una paratura, innesca e lancia. Poi recupera la seconda canna e compie lo stesso procedimento, questa volta scegliendo il rosso. Io nel mentre non cambio assetto, anzi, vista la mancanza di tocche rimango proprio fermo, seduto e per questo verrò subito punito. Infatti dopo pochi minuti Marco sentenzia: “Oggi gli va il bianco!”.

Mi volto e lo vedo che porta a riva una coppia orata, mormora, pescate con il nuovo assetto e attrattori bianchi. In un attimo innesca e rilancia, prepara una paratura “bianca”, la sostituisce a quella con palline rosse e da qui in poi mi tocca guardarlo per più di un’ora mentre finisce la sua e la mia esca. Mi guardo intorno, siamo circondati da tante lucine colorate, non deve stupire che i pesci in questa spiaggia trovino normale la presenza di colori pure sott’acqua e siano attratti dalla flebile luce di queste piccole palline. Perché la pesca non è un esercizio mentale complesso, si basa sull’osservazione di ciò che ci circonda. In questo caso, la luce, tante luci, in terra e in mare. Marco ha vinto, avevate dubbi? Questa volta mi ha fregato con i colori, un fattore da non trascurare non solo qui a Giorgino, ma tutte le volte che lo spot è “immerso” nelle luci della notte, che siano naturali, come stelle, pianeti e Luna, o siano prodotte dall’uomo, situazione tipica delle zone densamente urbanizzate.