Fortissimo Barteloni

Fortissimo Barteloni

L'appuntamento è davanti a un supermercato, alle porte di Cagliari. Pioviggina e c’è un vento freddo, reso ancora più fastidioso da questa coda d’inverno così insolita per noi. Per rendermi più visibile sono uscito dalla macchina: per fortuna arriva quella di Massimiliano, puntuale, riconosco modello e colore. Salgo a bordo, Ci salutiamo e via a casa sua. In effetti abita a Brescia, dove sta lavorando come Vigile del Fuoco. Gli faccio una domanda un po’ fetente. Ma a Brescia c’è il mare? Mi dice che ci sono due laghi, lì vicino… Sarà, ma mi sembra che al ragazzo manchi, e molto, l’acqua salata. Ragazzo poi; ha quarantun anni, anche se non li dimostra, e quasi tutti dedicati alla pesca subacquea, con risultati di prestigio.
Quando hai cominciato?
Da bambino, un po’ come tutti quelli che hanno questa passione… A dieci, undici anni, polpi e sogliolette era tutto quello che riuscivo a prendere con una fiocina a mano. Ben presto ho cominciato a costruire ogni sorta di arma subacquea rudimentale, regolarmente sequestrata dai miei genitori, fin quando loro stessi, per i miei sedici anni, mi hanno regalato un fucile vero: un Grinta 40 della Technisub. Da lì ho incominciato a prendere pesci veri.
Andavi a pesca con tuo padre?
No, mio padre non era appassionato. Andavo molto spesso da solo, ma ho poi avuto la fortuna di incontrare Pietro Orrù, un pescatore molto sensibile alla sicurezza, convinto sostenitore della pesca in coppia, tutta improntata sul: guardami, ti seguo. Pietro mi ha insegnato a guardare in tana, a come comportarmi davanti a quelle abitate, a come lavorarci con un pesce incastrato, a come non rischiare mai, per nessun motivo. Una grande scuola, davvero, e devo dire di essere stato un buon allievo, curioso, attento: registravo ogni particolare. Mi è servito tantissimo.
Quando hai capito di essere nato per questo sport?
Quando ho cominciato a prendere i primi pesci: riuscivo a farlo con una certa facilità. Dalla pesca in tana sono passato all’aspetto, stregato dai primi video di Dapiran. Ancora non facevo gare, un po’ perché pensavo di non essere all’altezza e molto perché, allora si facevano in gommone, non me lo potevo permettere: avevo tutto il tempo perché non lavoravo ma non avevo soldi per lo stesso motivo.
Poi hai cominciato. La tua prima gara?
Andavo a pesca con un amico che mi ha spinto all’agonismo offrendomi un’opportunità: mi ha messo a disposizione macchina, gommone, il suo tempo e i soldi che occorrevano, ma soprattutto ha creduto in me.

 


Mi pare che non abbia tradito la sua fiducia…
Era il ’95, a Badesi. Sono arrivato primo. Ho vinto il Campionato Sardo Individuale e ho partecipato alla nuova formula di selettiva a pinne, qualificandomi in Seconda Categoria. Nel ’97, a Follonica, mi sono classificato sedicesimo, primo degli esclusi. C’è stata poi la parentesi con Apnea Academy dove sono diventato istruttore e ho potuto vedere come, per il solo fatto di scendere a trenta metri, alcuni allievi ritenessero di poter pescare a trenta metri. Niente di più sbagliato. E di più pericoloso. L’approccio con la profondità, soprattutto nella pesca subacquea, deve essere graduale: troppe le variabili in gioco per trascurarne qualcuna. Una cosa è l’immersione fine a sé stessa, un’altra è l’immersione finalizzata alla ricerca, alla individuazione del pesce, alla strategia per catturarlo, all’eventuale cattura e al portarlo in superficie: solo a dirlo ci vuole molto più tempo.
Hai ragione. Dopo questa parentesi hai ripreso a frequentare il mondo delle competizioni…
Sì, sono risalito in Seconda Categoria gareggiando col regolamento che consentiva gli spostamenti a pinne e un notevole risparmio sui costi generali. Sono quindi approdato alla Prima Categoria.
Una invidiabile costanza nei risultati. Qual è il segreto?
Non ho segreti. Probabilmente riesco a dare il meglio perché non sono emotivo. Non risento della presenza degli antagonisti, non accuso il clima della gara. Quando mi è capitato di sbagliare strategia non l’ho fatto perché ho subito condizionamenti attribuibili a fattori esterni: ho sbagliato, semplicemente, perché ho valutato male le mie scelte.
Il tuo rapporto con la profondità?
Ne ho grande rispetto, da non sottovalutare mai. Ma forse più della profondità assoluta conta quella relativa alla permanenza in superficie: la casistica relativa a incidenti imputabili a taravana riporta episodi avvenuti durante frequenti tuffi a 15, 20 metri, quote, oggi, alla portata di molti subacquei. I parametri fondamentali che entrano in gioco sono almeno tre: quote raggiunte, permanenza sul fondo, permanenza in superficie. Bisogna diminuire il ritmo, allungare i tempi di recupero, essere ben idratati, e assaggiare ogni tanto qualcosa di facilmente digeribile. Un consiglio: ogni tanto fate una pausa. Dieci minuti sul gommone, passati a scambiare le proprie impressioni col vostro compagno, equivalgono a 2, 3, forse 4 tuffi, è vero, ma è tempo guadagnato, non perso.
Che cosa più ti piace della pesca?
Mah, è un fascino continuo, una crescita costante. Ti fa bene anche nei rapporti con gli altri. Personalmente divento più socievole; il mare ti rende più sereno, ti svuota dalle tensioni. Il mare è terapeutico.
Pescare, quindi, non significa soltanto prendere pesci?
No, assolutamente. Saranno dieci anni che non vado a pesca da solo: non mi diverte più. Ho bisogno di dividere emozioni con altri, è una cosa appagante.
Sicuramente ci avrai messo del tuo ma chi ha maggiormente contribuito alla tua crescita di pescatore e di agonista ad alti livelli?
Più di uno, è naturale. Pietro Orrù, gran tanista e razzolatore nel fondo medio-basso: mi ha contagiato la prudenza, e mi ha lasciato l’impronta. Massimo Spano mi ha trasmesso un nuovo approccio mentale: avere la consapevolezza dei propri limiti ma anche la coscienza di poterli spostare un po’ più in là. Con lui ho imparato a pescare con un nuovo atteggiamento: devi prenderti tutto il tempo che ti serve, selezionare le prede. Massimo mi ha insegnato a pescare pesci più difficili, ma sempre in sicurezza. E poi c’è Bruno De Silvestri. Con Bruno sono andato a pesca per molti anni. Nel tempo ho imparato ad affinare tecniche fondamentali per praticare agonismo ad alti livelli. Con lui ho potuto gestire meglio la preparazione dei campi gara, trascinato da una determinazione incrollabile e da una costanza esemplare, e sono riuscito così a studiare strategie che si rivelano vincenti.
Parla piano, con un tono pacato che tuttavia sprizza un’umiltà sincera. Gli chiedo con chi sta andando a pesca, quando può allontanarsi dai laghi.
Quasi sempre con Christian Corrias; quando capita, ed è sempre un piacere, con Bruno e Massimo, qualche volta con Davide Cotza.
All’improvviso arriva la moglie, con un sorriso. Tolgo il disturbo, Massimiliano mi accompagna alla macchina: ci salutiamo con due “grazie” e una stretta di mano. C’è qualcosa che accomuna tutti noi che peschiamo sott’acqua, a prescindere dal talento e dai risultati ottenuti: forse perché per tutti il percorso è molto lungo e si incrociano quindi generazioni differenti, o forse perché, semplicemente, siamo tutti figli di esperienze passate ma anche padri delle esperienze future.