Emanuele Verri

Emiliano Brasini l'ha accolto nel team Sigal vedendo in lui un futuro da agonista. Roberto La Mantia gli ha ispirato l'ambizione. Insieme a Luca Vallicelli formano un terzetto, tutto Sigal, protagonista nelle competizioni ai massimi livelli.

Foto in alto: il protagonista mascherato con una grossa cernia bruna.

Passiamola per maggior età, ma Emanuele Verri, oggi over ‘anta, romano di padre calabrese, ha impugnato il fucile quasi a vent’anni. Non senza esperienze nel meridione, visto che il genitore nella sua terra passava le estati con la famiglia bagnandosi a San Lucido, nel mare di Cosenza, l’Atene d’Italia. Emanuele racconta di infinite e assolate giornate passate su un materassino gonfiabile, quando aveva solo 5 anni, a traino del babbo di ritorno dal suo pellegrinare sul fondo alla perenne ricerca della cena. Così è nato l’amore per il mare e si è sviluppata la passione della pesca. 

Com’è stato il distacco e l’arrivo nella capitale? Diciamo che passati i cinque anni, ancora in Calabria, mi sono emancipato. A 14 anni guidavo il motorino e potevo raggiungere comodamente il mare. Così come a 16 iniziavo le mie prime battute di pesca. A Roma mi sono organizzato. Dopo le prime esplorazioni sul litorale laziale, ho frequentato un corso di Apnea Academy, con Roberto Tiveron e nel 2000, a diciannove anni, mi sono iscritto al Blu Deep Roma. All’epoca non c’era l’infinito mondo del web per cui quel corso è stato davvero istruttivo, illuminante circa le criticità che si possono verificare sott’acqua. Ad esempio, mai lo dimenticherò, un video che documentava la sincope di un atleta a Santa Teresa Gallura, durante il Campionato del mondo di apnea a squadre alla fine degli anni novanta.

La Corvina, forse il pesce preferito di Emanuele, visto che dalle sue parti crescono più che altrove.

Dove andavi a pesca? Con l’arrivo del gommone, ancora con la guida a barra, che tenevamo in spiaggia, io e il mio socio per l’occasione, spaziavamo tra Ladispoli e Santa Marinella più a nord. Agguato e aspetto erano le tecniche preferite chje almemno io praticavo pur senza risultati eccezionali.

Chi era il tuo idolo? Allora seguivo le riviste e all’epoca il mito era Renzo Mazzarri, il 3 volte campione del mondo. Localmente  stimavo moltissimo Alessio Gallinucci, Massimo Badassarre e Fabio Antonini.

Il pesce che ti ha lasciato il segno? A 22 anni, una leccia di 10 chili catturata all’aspetto nelle secche di Santa Severa a circa un miglio e mezzo dalla costa. Era fine estate, in mare c’era una corrente di scirocco con una discreta visibilità. Ci siamo immersi con l’idea di sparare qualche orata. Ero sul fondo, a poca profondità, fermo all’aspetto. D’un tratto, in alto sulla destra, mi sfila un banchetto di lecce. Stavano per raggiungere il fuori tiro così sparo al volo la più vicina. Colpita al centro. Dopo 15 minuti di combattimento, la doppio, ma non era necessario. Ero un po’ agitato perché ho dovuto accelerare i tempi col rischio di perdere l’attimo. Fortunatamente tutto andò bene.

Il sorriso compiaciuto di Emanuele, giustificato da questo dentice da cena condominiale se non di quartiere.

Quando hai iniziato l’attività agonistica? A circa 28 anni, dopo qualche gara di selezione nel Lazio, e soprattutto dopo essere stato il barcaiolo di Andrea Calvino in un campionato di seconda. Ho fatto tutte le selettive e le promozionali possibili. Ma non era facile emergere. Le gare erano molto partecipate e gli atleti erano tutti molto forti. Io crescevo ma ho dovuto insistere per almeno 7-8 anni, prima di raggiungere l’obiettivo e l’accesso nel 2019 al campionato di qualificazione che si disputò a Casalabate. Fu una gara molto particolare. Una settimana fuori di casa con la benedizione di mia moglie, nonostante fosse diventata mamma da 15 giorni. Diciamo che non ero in uno stato psicofisico ideale. Oltretutto, viste le condizioni meteo, si concluse tutto in una sola giornata. Di base avevo una preparazione del campo gara piuttosto limitata, alla quale si aggiunse il forfait del barcaiolo. Praticamente un casino! Ma anche quello finì, con tre pesci sul mio referto e un ventiquattresimo in classifica. Da lì, di nuovo la trafila delle selettive. Poi il Covid, e finalmente nel 2020, la partecipazione al campionato italiano per società con Roberto La Mantia e Diego Mazzocchi. Eravamo a casa, a Santa Marinella. Preparammo la gara minuziosamente, con armonia, senza individualismi, in un campo pescabile dai 5 metri in giù, caratterizzato da grotto, cigliate profonde e meno profonde, tutto però abbondantemente entro i 25 metri. Ci concentrammo sulla ricerca di capponi e mostelle, le specie maggiormente avvistate. Il risultato fu: 5 capponi, chiuse le corvine, 4 saraghi, un tordo, una murena e un grongo, neanche una mostella. Questa prestazione mi aprì di diritto le porte della seconda categoria che si disputò a Terrasini nel 2021. Vinse Nicolò Riolo. Io alla prima esperienza in un campo gara per profondisti, rimediai 4 pesci all’esordio e tre nella seconda giornata, alcuni a 36 metri. Staccai infine, il quindicesimo cartellino valido per il successivo Campionato italiano assoluto… il sogno di una vita.

Una bella bruna che non è riuscita a guadagnare la tana rimanendo vittima di un'azione veloce di Emanuele.

Nel 2022 mi ritrovai quindi a Trapani, nella massima serie, a gareggiare con i mostri sacri della specialità e quell’anno ce n’erano davvero tanti. A iniziare dal primo in classifica, Giacomo De Mola, campione italiano, una spanna su tutti. E dietro Riolo, Fazzolari, Gentilino, Cubiciotto, Maccioni, Losito, Bonomo, Claut e Puretti, tanto per citare i primi dieci, ma la lista di campioni affermati sarebbe ancora lunga. Per me non ci fu storia, scivolai con “disonore” in fondo alla classifica, costretto a ripartire dal girone di qualificazione che nel 2023 si disputò a Casal Velino in provincia di Salerno, nel cuore del Parco nazionale del Cilento, tra Acciaroli e Marina di Acea. Un campo gara singolare, con tripodi in cemento, da 33 a 48 metri di profondità, sparsi qua e là sul fondo per contrastare la pesca a strascico. Un terreno in cui prosperava però la cernia bianca. La prima giornata si è visto pochissimo pesce, tanto che, dopo tre ore di ricerca per la bianca, decisi di buttarmi a terra a scorrere. Sparai un cefalo di 500 grammi e altri 4 pesci di specie diverse. Il giorno seguente puntai al volo una tana di corvine e ne presi due, una di un chilo e quattro. Poi, più a terra, presi alcuni saraghi e tordi. Non andò male, ma mi aspettavo un numero 5, invece, tra i 50 atleti, in finale mi piazzai decimo. Ma un nuovo assoluto mi aspettava.

Emanuele Verri con un carniere dell'ultimo assoluto di Portoscuso.

E così nel 2024 approdai in Sardegna, a Portoscuso. Una gara tosta, segnata dal bel tempo e una gran quantità di pesci. Ho fatto bene e avrei potuto fare meglio ma ho dovuto accontentarmi di un’ottava posizione. Quest’anno purtroppo, a fine giugno, in corrispondenza con l’assoluto, causa trasloco ho dichiarato forfait. Il mio calendario agonistico riprenderà comunque il prossimo anno, in seconda, grazie alla federazione che ha accolto la mia domanda di reintegro.

Il cappone, spesso si trova nei buchi più profondi.

Raccontaci del pesce più grande. Era il 2020, a maggio, la prima uscita in mare dopo il lockdown. Ero a La Frasca, un’area di grande interesse naturalistico e archeologico confinante a sud con la centrale termoelettrica di Torrevaldaliga, nella periferia nord di Civitavecchia. Si poteva uscire solo a pinne. Percorsi a nuoto più o meno un miglio per raggiungere un ciglio di grotto tra i 12 e i 18 metri frequentato di solito dai dentici. C’era una mangianza incredibile e io ero all’aspetto. A un certo punto la nuvola di pescetti si aprì per dare spazio a due pesci enormi, spaventosi, due lecce. Sparai alla più grossa, con precisione. Questa accusò il colpo e dopo due sole scodate finì nella morsa delle mie braccia, stretta al petto. Risalì in superficie e mi avviai verso riva. Un’ora di sfinimento, poi la macchina e il rientro verso casa. Pesò 23 chili.

Un episodio a caso? A San Lucido, nel versante tirrenico calabrese. Mi portava un amico. Pescavo nel blu, su una secca che arriva a 90 metri. Il mio amico mi metteva fretta e mi incitava a tuffarmi perché era una posta da ricciole. Non doveva convincermi e mi buttai in acqua. Non feci in tempo a immergermi più di tanto e noto al volo una macchia chiara che risaliva verso me. Mi sembrò uno squalo e la cosa mi agitò un poco o forse mi agitò e basta. Qualche secondo di panico(?), poi mi resi conto che si trattava di una manta. Ebbi un sussulto e lei virò, aveva un’apertura alare superiore ai due metri.

 sardegnapesca