Copertina/Editoriale

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Il trenta gennaio scorso il ministro Francesco Lollobrigida, titolare del ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, “considerato che può, con proprio decreto, disporre limitazioni alle attività di pesca al fine di conservare e gestire le risorse ittiche”, ha firmato un provvedimento, che all’art. 2 recita così: “Il numero complessivo degli ami dei palangari presenti a bordo e/o calati da ciascuna unità da diporto non deve essere superiore a 50, qualunque sia il numero delle persone presenti a bordo.”. In sintesi, il ministro, ha ridotto il potenziale “bellico” del palamito sportivo a un quarto della sua forza, siamo passati da 200 ami a 50. Io mi chiedo se tanto interesse e sforzo derivi da un’analisi condivisa. Se il decreto sia supportato dai numeri, dalla scienza. Se davvero il ministro ritenga il provvedimento efficace. E mi chiedo se intervenire su un aspetto così palesemente insignificante, “al fine di tutelare la risorsa ittica e i legittimi interessi della pesca sia professionale che sportiva e ricreativa”, sia solo una risposta a chi tira la giacchetta, da qualche angolo sperduto dello stivale. Ma soprattutto, mi chiedo se il decreto possa in qualche modo bilanciare la totale cecità e il mutismo nei confronti di altri attrezzi, il cui impatto sugli stock è davvero devastante. Mi chiedo cosa ne pensa il ministro delle “mattanze di mare”, di quelle stragi ad opera dei ciancioli, le reti micidiali a circuizione capaci di catturare interi banchi di pesce. Sono confuso e anche preoccupato. Non percepisco un filo logico e tantomeno di coerenza.