Cico Natale

Cico Natale

Ho conosciuto Francesco, Cico per tutti, diversi anni fa, al Poetto. Ero in gommone, alla Prima fermata con Simone Pintus per due foto e all’improvviso, con modi gentili, sale a bordo lui. Non sapevo chi fosse e questo con grande meraviglia del mio ami-co. In seguito però il suo nome, Cico Natale, è tornato nei discorsi di pesca abbastanza di frequente. Piano piano mi costruivano la figura del mito, di quello che a pesca ci va sempre e sempre torna col carniere pieno. Per me era l’amico di Davide Carrera, un personaggio a metà tra l’uomo e il pesce, degno compare di quell’Umberto Pelizzari che ha ridisegnato il modo di andare sott’acqua e di cui Cico diventa non solo allievo ma anche certificato istruttore.
Cico nasce a Messina nel dicembre del ’68. Il padre è un pilota dell’Aeronautica militare e per questo approdano in Sardegna alla fine degli anni ’70, prima al nord e infine a Cagliari. Oggi, ingegnere alla Saras, Cico è compagno e padre di un giovanotto di sei anni. La malattia chiamata pescasub, presto conclamata, altro non è altro che un co-tagio familiare. Il padre infatti è un esperto subacqueo che nella stagione estiva trascorre molto tempo in mare assistito da un giovanissimo Cico, velocissimo nell’apprendimento dell’arte, a confronto con tante e grosse cernie. Il fatto curioso e impressionante, alme-no per l’orgoglioso genitore, è che il figlio, ancora quindicenne, scenda a vedere le cernie e studiarne gli incastri tra le rocce, a quote importanti: 23-24 metri. A giugno, finita la scuola, ancora adolescente, Cico si dedica completamente al mare e a 16 anni finalmente diventa padrone del primo fucile. Ma il sogno dura poco, un’altra passione ha il sopravvento: il windsurf. Cico si afferma nel mondo agonistico sovracqueo con ottimi risultati fino a diventare, all’apice della carriera, cam- pione italiano di categoria.
E poi? A trent’anni circa il ritorno di fiamma. Smetto il windsurf e ritorno sott’acqua. Ma stavolta è diverso, nuovi stimoli mi spingono verso le acque profonde, verso il mondo blu di Apnea academy. A Santa Teresa Gallura faccio il corso col mitico Umberto Pelizzari. Dopodiché abbandono la pesca in tana e mi dedico esclusivamente alla pesca profonda, all’aspetto principalmente, con virate all’agguato se l’immersione più impegnativa non porta risultati. Alla fine degli anni ’90 mi propongo, per intercessione di Umberto, quale video-operatore subacqueo, al guru della pesca in apnea all’agguato, quel Giorgio Dapiran che per un lungo periodo ho avuto la fortuna di leggere su Mondo Pesca. Inizia così un’interessante collaborazione e un periodo molto stimolante al fianco di Giorgio e Umberto, con i quali naturalmente andavo, e con profitto, anche a pescare.
Cosa pensi dell’agonismo? Non mi interessa! Non pesco in tana, ecco perché non faccio gare. Seguo senza grandi entusiasmi le sorti di molti amici ma non è il mio mondo, non con queste regole.
Di solito come sei attrezzato? Dipende dalla stagione. D’inverno vesto una giacca liscio spaccato da mm 6,5 con sottomuta da 2. Una soluzione che mi permette di stare più asciutto e con le braccia più libere, meno trattenute da un’eventuale giacca da 8,5. Pantalone, ancora da 6,5, foderato all’esterno perché si consuma meno. D’estate invece giacca da 5 e pantalone da 3. Pinne Alemanni super soft in fibra di vetro. Maschera superocchio Cressi. Fucile, quasi sempre, 115 in carbonio, doppio roller, Alemanni.


Pescare a 45 metri comporta un esercizio fisico, come ti mantieni in forma? Da quando sono “profondista” il mio atteggiamento verso il mare e la pesca è cambiato totalmente. Sono diventato Istruttore di Apnea academy, un’esperienza di 15 giorni, full-time, in palestra, in mare e in piscina. Mi alleno secondo i principi appresi in Apnea academy. Respirazione, rilassamento, in una parola pranayama: una tecnica yoga per ottimizzare la respirazione, proposta per primo dal mitico apneista “francese” Jacques Mayol. In inverno, da novembre a marzo, nuoto in piscina, 3-4 volte alla settimana, per un totale di 15000 metri circa. Completo l’allenamento con un po’ di yoga a casa. Da aprile lavoro sull’apnea: 2 allenamenti yoga e due di nuoto. Tutto questo, naturalmente, affogato in un mare blu, sia d’estate che d’inverno.
Tra le tante catture ce n’è una che vuoi condividere?
Ero a Oristano, fuori dallo scoglio del Catalano, con Fabrizio Accorte e Matteo Spiga, a fine giugno, sette anni fa. A bordo del mio Marshall rosso cercavo segnali, gabbiani! Finalmente li individuo e spinto da 40 cavalli li raggiungo in breve. M’immergo su un fondo di 60 metri circa e subito passa un branco di una ventina di tonni, tutti della stessa taglia. Sparo, in caduta, e ne colpisco uno in coda. Per un po’ sono costretto a seguirlo (altrimenti, fare sci nautico) finché, in mio aiuto, Fabrizio doppia lo sparo. Tonno a bor-do, quindi, e rotta verso Arborea. Qui stabiliamo il peso: 52 chili, il mio record. Tagliato e diviso equamente è stato l’oggetto dei discorsi a tavola o con i colleghi, per tutto il mese. C’è un altro pescione che vale la pena ricordare. Ero a pesca su una strisciata, nel Golfo, a 26 metri. Era il 2015, novembre, tempo di orate. Faccio un tuffo e vedo un branco di sparidi con l’oro tra gli occhi, dal chilo ai 2 chili e mezzo e, in lontananza, un ricciolone che voleva mangiarsele. Purtroppo non non sono riuscito a sparare. Mi rituffo più volte... nulla. Al quinto tentativo la rivedo e la sparo in caduta. Un bel tiro, preciso, che però non mi ha risparmiato almeno 10 minuti di combattimento. Dopodiché, stessa scena. Rientrati, pesati i 42 chili di bestia, sfilettata, divisa e di nuovo a casa.
Hai mai avuto paura? …sì. Mi sono spaventato! Nel Golfo, a febbraio, con acqua sporca e scarsa visibilità. A 15 metri di profondità, vedo la mangianza che si schiaccia sul fondo anziché aprirsi come quando gira un dentice, un barracuda, o un comune predatore. Poi scorgo cinque sagome indefinite. Mi sono spaventato finché non ho riconosciuto che si trattava di delfini.
Mangi il pesce?
Sì, certo! Mi piace molto e mi diverto a cucinarlo. Ad esempio il tonno, mi piace moltissimo crudo, naturalmente dopo averlo abbattuto e fatto a tartare con olio extra vergine, sale, olive taggiasche, poca soia e poco peperoncino.
Oppure appena scottato alla piastra e poco poco di olio aggiunto.