Barracuda dietro la Scia

Quando i pesci non mostrano interesse per gli artificiali si può provare a lanciare nella scia delle barche. Spesso arriva l’attacco!

Sopra l’autore solleva un barracuda usando il boga grip che permette di tenere a debita distanza i denti affilati del pesce e di manovrare in sicurezza le pinze che servono a liberare il pesce dalle ancorette

È ancora buio e sul cielo d’oriente dominano Venere e Giove. La Luna ha superato il terzo quarto e la sua debole luce illumina la piatta superficie del mare. Mi trovo sulla punta del molo di un piccolo porticciolo turistico affollato di barche. Il silenzio domina su tutta la darsena, con i turisti che devono essere crollati nelle loro cuccette dopo una notte di musica e festa. Qui, proprio all’imboccatura del porto, ho tanto spazio per lanciare in tutte le direzioni. La marea crescente, quasi al suo culmine, è un ottimo presagio alla mia speranza di pescare qualcosa. Sembrerebbe una situazione ideale, ma l’assoluta assenza di vento rende la superfice del mare una lastra perfettamente piatta e immobile, quasi fosse stata lavorata con precisione. Recupero lentamente dei longjerk che navigano a circa un metro e mezzo di profondità. Anche sott’acqua non sento la presenza di corrente, un brutto segno. In più, l’assoluta trasparenza di queste acque mi permette di scorgere, se pur al buio, i particolari del fondale. Riesco a seguire con lo sguardo il recupero dell’artificiale, già quando dista ancora più di 20 metri da me.

Due artificiali ottimi per la pesca del barracuda. Cambia la forma, cambia la paletta, ma la colorazione bianca è la migliore, di notte e nei cambi di luce.

E nonostante stia usando esche già rodate con profitto in tante albe passate, non scorgo un solo pesce che le segua, neanche pigramente. Eppure qui i barracuda ci sono, tutto l’anno! Il silenzio quasi assoluto è finalmente interrotto dal rumore di un motore che inizia a girare. Il borbottio cupo e profondo anticipa il movimento di un grosso yacht che si prepara a prendere il mare. Non c’è tempo da perdere, questa è l’occasione che stavo aspettando, forse l’unica che mi si presenterà in questa placida alba. La barca si avvicina molto lentamente all’uscita della marina; io fisso sul moschettone un longjerk bianco con una quota operativa che va da 70 centimetri a un metro di profondità. Vedo le eliche laterali di poppa spingere l’imbarcazione in un’indolente “derapata” che permette alla prua di puntare verso il mare aperto, perpendicolarmente all’imboccatura del porto. Lo yacht sfila a pochi metri da me e la sua silhouette si staglia sulle prime luci dell’alba che colorano il cielo con tante sfumature di blu. Aspetto ancora un attimo, adesso la barca è distante e sulla superficie del mare si disegnano tante spirali, con piccole onde che sbatacchiano sul molo. È il momento di lanciare, appena oltre il mare increspato. L’artificiale scompare sotto la superficie e subito metto la lenza in tensione, chiudendo l’archetto con la mano; in questo modo mi assicuro, anche senza guardare, che il filo non formi i pericolosi “fiocchi” che creano le ancor più nefaste “parrucche”. 80 centimetri di fluorocarbon dello 0,50 assicurano all’esca mimetismo e adeguata resistenza alla tensione. Come da manuale, dopo pochi giri di mulinello, arriva lo strike. Il barracuda si comporta da… barracuda. La sua resistenza, all’inizio molto evidente, diminuisce velocemente. Ma il pesce tenta due ultime fughe proprio sotto i miei piedi. Ha attaccato la coda dell’esca e l’ancoretta posteriore è ben conficcata sul suo muso. Dopo alcune foto di rito lo libero prontamente. Nessun segreto, nessuna magia. Sul campo era-no presenti due predatori: il barracuda finché l’acqua cristallina è rimasta ferma non pensava minimamente di mettersi in caccia. Ma come ha visto un “pesciolino” in difficoltà a causa della turbolenza prodotta dalla barca, non ha aspettato un attimo a sferrare il suo attacco; il secondo predatore, lo spinner, ha sfruttato l’unico momento a lui favorevole, ben sapendo che quella situazione anomala, l’improvviso agitarsi del mare all’inizio di un giorno senza vento, avrebbe risvegliato nel pesce l’istinto predatore.